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IL VIDEOGIOCO DEI TITOLI DI GIORNALE

Senza andare troppo indietro nel tempo, sempre dagli Stati Uniti. 2 novembre 2017, sparatoria in un supermercato a Denver: tre morti. 18 febbraio 2018, sparatoria in una scuola in Florida: 17 morti e 14 feriti. 20 marzo 2018, sparatoria in una scuola in Maryland: 1 morto e due feriti. 3 luglio 2018, sparatoria in una scuola elementare a Kansas City: 2 feriti. 26 agosto 2018, sparatoria in un centro commerciale: 4 morti e 11 feriti. In questo caso l’articolo cita espressamente cosa stava accadendo durante la sparatoria, ovvero un torneo di videogiochi. Bingo!

Esiste una tendenza scorretta da parte di buona parte del giornalismo italiano a proporre al pubblico  – implicitamente o esplicitamente –  la presunta relazione tra videogiochi e violenza, secondo lo stereotipo più consolidato, come evidenzia il titolo dell’Huffington Post che, se fosse stato scritto correttamente, sarebbe diventato: “Sparatoria in Florida in un centro commerciale”.

Appare evidente che la causa di queste sparatorie è innegabilmente la facilità di reperimento delle armi, non la frustrazione: il mondo è pieno di gente che viene frustrata dai fallimenti e non ci risulta questa ondata di omicidi. Parimenti, se fosse la frustrazione per partite e tornei di videogiochi a generare la violenza omicida, avremmo milioni di omicidi ogni giorno. Infine, viste le notizie proposte, potremmo pensare anche che, dato che molte sparatorie avvengono nelle scuole e nei centri commerciali, siano proprio questi ad essere la causa scatenante dei comportamenti omicidi. Ma siamo seri!

Il problema (negli Stati Uniti) è la presenza delle armi e una cultura da Far West che giustifica e incoraggia il possesso e l’uso delle armi. In Italia, invece, il problema è la scarsa qualità di certo giornalismo che insegue la paura del pubblico, che soffia sul fuoco consolidando gli stereotipi che finge di condannare.

Ma il problema sono i videogiochi.

QUANTA PSICOLOGIA IN POKEMON GO?

Il videogioco Pokémon Go sta impazzando. Accade sempre più di frequente che un videogioco possa godere di un successo virale. Si sa, gli esseri umani, quando sono liberi di fare ciò che vogliono tendono a imitarsi a vicenda. Ma questo fenomeno, oltre gli aspetti imitativi di tipo adolescenziale, mette in moto ben altro.

I videogiochi nascono innanzitutto per divertire e  – solo dopo –  per fare soldi. Questa seconda possibilità, però, si è dimostrata determinante perché i profitti che hanno cominciato ad accumulare le case di produzione hanno permesso di aumentare progressivamente gli investimenti e, di conseguenza, la capacità di “induzione tecnologica”. I videogiochi hanno accompagnato e incentivato lo sviluppo di macchine sempre più potenti, con processori sempre più performanti e costi sempre più bassi.

I videogiochi sono diventati il livello d’ingresso della cultura digitale dal momento che i bambini ormai entrano in contatto con la logica digitale proprio attraverso di essi. Col passare del tempo la massa di persone digitalizzate, siano esse nativi o emigranti, è diventata tale che tutte le innovazioni e tutti i comportamenti che si generano hanno consistenti ricadute nelle società. Un esempio per tutte sono le pratiche di gamification , ovvero quelle iniziative che cercano di ottenere una modificazione del comportamento attraverso le dinamiche insite nei videogiochi, come le gratificazioni e l’esploratività cognitiva.

Il videogioco Pokémon Go non è sbucato dal nulla. Già nel 2007 prendeva avvio Critical City, un videogioco a realtà aumentata che nasceva con intenti sociali. E’ evidente che Pokémon Go è stato lanciato con l’intento di fare profitti, testimoniato anche dagli investitori che hanno permesso l’operazione.

Il gioco si basa su quello che viene chiamata “realtà aumentata“, una sorta di terra di mezzo tra off line e on line. Attraverso lo sfruttamento delle mappe di Google, il software piazza in corrispondenza di alcuni luoghi virtuali (sulla mappa) alcuni pupazzetti che potranno essere avvicinati, fotografati e catturati tramite i movimenti nello spazio cittadino rilevati dalla geolocalizzazione dell’apparecchio mobile.

Questo tipo di attività mette in moto alcune attitudini del nostro cervello che abitualmente usiamo in altri casi. Per esempio, quando guidiamo un’automobile, noi “diventiamo” grandi quanto l’auto e, grazie a questa capacità di adattamento, evitiamo di urtare persone e oggetti mentre ci muoviamo. Come anche, quando decidiamo un percorso per andare da casa al luogo di vacanza, costruiamo nella nostra testa la “mappa mentale” del tragitto, tenendo conto della nostra fretta (obiettivi), dell’ora e del traffico (vincoli), delle caratteristiche del mezzo con cui ci muoviamo (percezione di sé) e così via. Pokémon Go agisce allo stesso modo e ci costringe a lavorare sulla mappa mentale che appositamente costruiamo nel nostro cervello.

Tutto questo lavorìo tra reale e virtuale ha l’effetto collaterale di abituarci lentamente a sovrapporre e integrare nelle nostre pianificazioni sia il livello reale, sia quello virtuale. Progressivamente ci troveremo pronti a gestire sistemi più complessi che potranno aumentare le nostre capacità di orientarci in questa “protomatrix” che si prospetta nel futuro ormai neanche tanto remoto.

UNA LEZIONE DI PSICOFISIOLOGIA DEL VIDEOGIOCO

Qualche giorno fa ero col mio beta-tester di videogiochi (18 anni) in un negozio di elettrodomestici. Abbiamo ammirato gli splendidi televisori a led da 88 polici, ovvero oltre due metri di diagonale. Un vero cinema in casa. Però commentavamo che nelle nostre case, ormai, è difficile avere una parete in grado di accogliere uno schermo di tali dimensioni. O meglio, gli va fatto posto. Alla fine, ho detto al mio videogiocatore di fiducia che gli schermi andrebbero guardati alla giusta distanza che “teoricamente” sarebbe di 5 volte la diagonale. Nel caso del televisore che guardavamo in negozio, sarebbe stata di quasi 11 mt. Osservavo che, poi, questa distanza sarebbe stata ipoteticamente adatta anche al computer ma che, in realtà, non avviene mai. A questo punto mi sono sentito spiegare che applicare questa regola della distanza ai videogiochi sarebbe impossibile. La ragione è semplice.
Se si dovesse seguire lo schermo ad una distanza di cinque volte la diagonale non si vedrebbero più i particolari. Si avrebbero, quindi, una marea di errori e ci si sentirebbe molto frustrati: esattamente l’emozione opposta a quella che si desidera videogiocando. Ecco che la distanza si accorcia, con buona pace degli occhi. Inevitabile immaginare come una sessione di videogioco (soprattutto per quelli molto dinamici come gli sparatutto e quelli da performance sportiva) possa diventare molto faticosa. Gli occhi devono andarsi a cercare freneticamente sullo schermo i tanti punti essenziali del quadro e l’attenzione deve essere massiva. Un compito davvero stressante.
Per tutte queste ragioni, il buon senso consiglia di non cimentarsi in sessioni di videogioco troppo lunghe. Lo stress da videogioco non è gratis.

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LA CULTURA E I VIDEOGIOCHI

Lo scorso 30 novembre ho partecipato ad una conferenza stampa, organizzata dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia, sul tema “Psicologia e videogiochi”. Relatori Thalita Malagò (AESVI), Matteo Lancini (psicoterapeuta e docente Università Milano-Bicocca), Giuseppe Riva (psicologo e docente Università Cattolica Milano). Proverò a ripercorrere il mio intervento, ampliandolo ove possibile.

Di tutte le possibili definizioni che si possono dare ai videogiochi, preferisco partire dalla considerazione che i videogiochi sono un manufatto culturale. Sono uno dei tanti manufatti che la cultura di ogni consesso umano genera: siano essi la ruota, il teatro, il telefono, un vestito e così via. Naturalmente, parlare di videogioco come una categoria unica è come dire che i film sono tutti uguali perché sono dei film. Così come esistono i generi cinematografici che hanno effetti differenti e pubblici differenti, così i videogiochi sono tanti e con svariate caratteristiche e pubblico.
Il pubblico che usa i videogiochi è divisibile in due grandi categorie, ognuna con tutte le sfumature del caso: da un lato metterei i giocatori blandi, ovvero quelli che giocano per divertirsi (ore di gioco contenute), e poi i giocatori intensivi, che affrontano il videogioco con lo stesso impegno e tenacia di un lavoro intensivo.
I videogiochi, però, ancor prima che investire la cultura, sono un cimento cognitivo. La cognizione non si esprime, naturalmente, in modo univoco ma come un mosaico sfaccettato di percorsi, funzioni e modalità operative. Il fisico e la mente del videogiocatore sono sollecitati, a tratti anche in maniera intensiva. Ecco che, in certi tipologie di giochi d’azione, l’eccessiva pratica può portare delle conseguenze.
Parliamo, quindi, degli eccessi del videogiocare. Alcuni sono reali, riscontrabili sperimentalmente e nella pratica, come la massiccia e continuata secrezione di ormoni dello stress (cortisolo generato dalle ghiandole surrenali) che, pur consentendo prestazioni superiori, per lunghe esposizioni ha degli effetti negativi. Altri danni sono, invece, presunti. Un’accusa che viene fatta ai videogiochi è che sottraggono tempo tanto allo studio quanto alla socialità. La prima può essere intuibile per l’enorme disparità di gratificazioni che si possono rilevare tra lo studio e il videogioco. In questo caso l’attività modulante e motivante dei genitori risulta fondamentale perché – fosse per i giocatori – si preferirebbe sempre il gioco. La seconda accusa, riferita all’alienazione sociale che provocherebbero, è da considerare che nasce in una fase della storia del videogico che vedeva i gamers a cimentarsi da soli contro il gioco. Da anni, ormai, i videogiochi si praticano soprattutto online, con un grado di socialità notevole che può essere locale (giocarlo con amici e compagni di scuola per poi ritrovarsi a commentarlo da vicino) o planetario (con dialoghi ed interazioni in inglese con altri gamers sparsi nel mondo).
Il problema più grande relativo ai videogiochi, grandemente amplificato dai media informativi, è sempre stato identificato nella violenza insita in molti titoli tra quelli più giocati. Il discorso meriterebbe da solo un ampio articolo ma possiamo dire che, parimenti alla tv, la violenza a cui espone un videogioco è pericolosa nella misura in cui il soggetto non sia predisposto alla violenza. Se così non fosse ci sarebbero omicidi in misura spaventosa in tutti i paesi in cui si giocano e il mondo sarebbe preda del terrore generalizzato.
Ma veniamo agli effetti positivi che, lentamente, stanno cominciando ad essere notati e studiati. Da un lato è stato notato da molte ricerche che nei videogiocatori migliorano le prestazioni visivo-spaziali e di coordinazione motoria. Migliora anche la memoria. Anche l’apprendimento può essere aiutato attraverso una pratica equilibrata dei videogiochi: viene rinforzato il senso di padronanza dell’apprendimento per prove ed errori, come pure migliora la gestione delle frustrazioni e la capacità di insight per le regole implicite. Anche la capacità di gestire le mappe cognitive può migliorare e le abilità in multitasking. Paradossalmente, i videogiochi abituano a concentrarsi: uno degli effetti principali che i videogiocatori vivono è definito “effetto flow“. Chi gioca entra in un flusso di attenzione in cui perde cognizione di tempo e spazio. E’ proprio questo effetto che ti fa rendere conto che hai giocato per ore senza rendertene conto. Potrei continuare, ma è possibile immaginare quanto possano sollecitare e allenare i videogiochi, a patto che non si esageri.
E’ facile anche supporre come si sia provato ad usare questo potente mezzo cognitivo per fini diversi dal gioco. Il videogioco è stato usato in ambito psichiatrico , come anche per la formazione; nella riabilitazione dopo un ictus , come anche nella pratica di videochirurgia. Chi li gioca sa che i videogiochi rientrano a pieno titolo in una sorta di “socializzazione 3.0“, quella fatta di un mix di comunicazioni (brevi/lunghe, testuali/audiovisive, ibride) realizzate attraverso tutti i device che la tecnologia ci mette a disposizione. Infine, dato assolutamente primario, quella dei videogiochi è un’industria a tutti gli effetti, come in passato lo sono diventati in cinema prima e la televisione poi. Tanto per fare qualche cifra, “Grand Theft Auto V” ha beneficiato di oltre 200 milioni di euro (“Pirati dei Caraibi” ne ha usato 229).
Che i videogiochi, poi, siano un potente mezzo per aggirare certe “difese” della personalità lo hanno capito in tanti e non tutti interessati solo al gioco: sono quelli che li usano per fare propaganda. Nel mondo arabo-integralista sono stati realizzati videogiochi in cui si fa la guerra agli israeliani e l’U.S. Army usa i videogiochi per indurre i giovani ad arruolarsi.
A causa dei giochi di tipo sparatutto o i picchiaduro, si è sempre tentato di far passare l’equivalenza “videogiochi=violenza”. Una vera bufala. Parimenti a quanto hanno mostrato le numerose ricerche longitudinali (quelle protratte negli anni) relative all’esposizione della violenza in tv, i comportamenti violenti a seguito di prolungate esposizioni alla violenza rappresentata sono più probabili in quegli ambienti che già contengono violenza. D’altra parte, il consumo di quei tipi di videogiochi è ampiamente sopravvalutato: nel 2014 il gioco più venduto è stato uno di calcio e nelle prime dieci posizioni ben 5 non sono riconducibili ai titoli incriminati. Ma c’è un’altra considerazione da fare. Il videogioco, come tutto ciò che è inventato dall’uomo, ha una sua dinamica peculiare: se si esagera, fa male anche il videogioco. Per usare una semplice metafora: col mestolo si versa dell’ottimo brodo ma se ci diamo un colpo sulla nostra testa, ci farà male.
I videogiochi, quindi, fanno parte ormai della nostra vita. Sono un manufatto culturale e come tale deve essere analizzato. La nostra cultura è fatta anche dalla violenza. I videogiochi la portano in una dimensione catartica e nulla ci porta a pensare che siano essi responsabili dei comportamenti violenti. Però, se si esagera nel giocare, possono fare male.
Ecco che un approccio equilibrato al fenomeno mi porta a concludere che i videogiochi sono un fenomeno culturale complesso e non riducibile a degli slogan. Va studiato con buon senso e sincera voglia di comprendere. Essi hanno sicuramente degli effetti cognitivi e, se goduti in eccesso, possono anche fare male. I videogiochi sono una parte della vita e della società e, più che contrastarli, andrebbero gestiti e governati.

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VIDEOGIOCHI E VIDEOGIOCATORI – Intervista a Stefano Silvestri (The Game Machine)

dal sito (chiuso) psicologiadellaudiovisivo.it ripropongo questo articolo del 2004

E’ possibile considerare i VG come la vera tv interattiva?
Dipende, perché in molti casi si sostituiscono alla televisione. Se si intende la televisione come forma di intrattenimento – guardare un film, giocare un videogioco – allora i due media sono sostituibili. Posso decidere se vivere passivamente una storia guardandola alla televisione, oppure decidere se voglio viverlo attivamente, giocandolo. La televisione è, però, tante altre cose: è informazione, è cultura (vedi Quark, gli speciali, gli approfondimenti politici): la TV è uno scatolone entro cui sono contenute molte più cose rispetto ad un videogioco. Il videogioco si può sovrapporre alla televisione, quindi, solo dal punto di vista dell’intrattenimento.

Da giocatore di VG, qual è il fascino maggiore del gioco informatico?
E’ la sensazione di esserci. Accade anche con i film. Io una volta ho scritto un articolo in cui parlavo del bordo del televisore. Sia che il televisore sia grande, sia che il televisore sia piccolo, c’è un momento nel quale ciò che stai vedendo ti cattura al punto che il televisore finisce per occupare tutto il tuo campo visivo. Ti sembra di esserci dentro. Quando, invece, la trasmissione non è interessante, inizia la pubblicità o suona il telefono, di colpo ti accorgi che stai guardando un soprammobile. Il videogioco, dal momento che trasforma chi è dall’altra parte dello schermo in un protagonista, favorisce quel processo di immedesimazione. Per cui, la cosa bella del VG è che, se ci si lascia andare, le emozioni che è capace di suscitare sono molto più forti: perché quando si corre inseguiti da qualcuno, da un cattivo o da un mostro, siamo noi che scappiamo. Guarda caso, per il vostro articolo avete preso proprio la copertina del numero in cui ho scritto la recensione di un gioco (Paolillo, 2004) del quale sono stato sempre appassionato, Thief – Deadly Shadows . In questo gioco c’è un livello che è talmente “disturbante”, ma al tempo stesso molto coinvolgente, che io ero veramente a disagio quando mi trovavo a muovermi in quel livello. E, quando alla fine venivo inseguito da queste creature indistruttibili, riprendendo uno dei classici del cinema ovvero il “cattivo indistruttibile” (l’identità che ti insegue e da cui non puoi scappare), io ero proprio angosciato. L’adrenalina che sono in grado di far scorrere i VG è decisamente superiore a quella dei film.

Sei più sollevato quando sfuggi al mostro o quando lo batti?
Personalmente, quando lo batto. In tutti questi giochi, in cui devi infiltrarti in certi luoghi senza farsi vedere, il personaggio è volutamente debole: non è il classico gioco in cui si arriva con il mitra in mano e si ammazza tutti. Il meccanismo psicologico di questo gioco, secondo me, è molto bello perché mette il giocatore in una posizione di inferiorità. Ti prende già per stanchezza perché la tua energia non è illimitata ma, soprattutto, la perdi anche abbastanza in fretta: pochi colpi e sei morto. Le munizioni sono limitatissime e gli altri sono molto più forti di te. Questa posizione di inferiorità ti costringe a dover scegliere delle tattiche evasive. Ti muovi con quella sensazione di minaccia incombente, di pericolo costantemente dietro l’angolo: è una cosa che mette una certa apprensione. Se si affrontasse il gioco con una posizione del tipo “tanto sono il più forte, il più grosso, il primo che mi passa davanti lo ammazzo”, diventa ovviamente un altro tipo di gioco. Per tornare alla tua domanda, io, nonostante sia il più debole, ammazzo sempre qualunque nemico ci sia sul livello, anche se lontanissimo e che non mi potrà mai intralciare. La sicurezza che ho quando c’è finalmente tutto il livello pulito e sono l’unico superstite, è impagabile. Ci sono dei miei amici, che hanno psicologicamente un approccio diverso e preferiscono lasciare tutti vivi, limitandosi a concludere il livello.

Cosa potrebbe “esportare” il mondo del VG verso cinema e televisione?
Siamo in una fase in cui, per quello che i VG hanno da dare, hanno “già dato”. Te lo dice uno come me che vive di VG ed è appassionatissimo di VG. I VG hanno offerto al mondo del cinema un linguaggio visivo, che poi si è materializzato nella regia, nel montaggio, nelle sceneggiature. Quante volte si sente ormai dire che un film è come un grande VG. Questo proprio perché il VG ha, nella sua struttura, dei canoni che possono essere ripresi dai film. Per esempio, un tema classico dei VG, e poi ripreso dal cinema, è quello in cui si diventa sempre più grandi e più potenti, il nemico che si incontra è sempre più grosso, sempre più potente. Oltre i famosi Tomb Rider o Mortal Combat , che sono film presi direttamente da VG, ci sono molti film in cui il protagonista arriva, prima uccide lo scagnozzo, poi uccide il braccio destro e, infine, arriva lo scontro finale, catartico, con il cattivo finale. E’ probabile che questa struttura sia stata mutuata dai creatori di VG, a loro volta, dai tanti racconti cinematografici e, una volta evoluta e adattata ai VG, è stata ripresa dai film. Ci sono dei fumetti che sono stati presi dai VG e viceversa; lo stesso accade con i libri. Per quanto il discorso letterario è meno spiccato rispetto ai film. Ci sono tanti libri che sono stati creati da saghe di VG di particolare successo. Blizard è una società californiana che, ad esempio, ha creato un gioco che si chiama World Craft : l’universo di World Craft è diventato un fenomeno di tale successo, capace di attirare milioni di giocatori. Ci sono scrittori americani che hanno scritto dei libri che prendono spunto dagli eroi che si possono “guidare” nel VG.

E la televisione, in tutto questo?
La televisione non la vedo molto attinente al mondo dei VG. Ci sono dei VG che si sono ispirati alla televisione: l’unico film che mi viene in mente è uno di quelli minori The Running Man con Schwartznegger. Quello è un film in cui la televisione poteva prestarsi a questo interscambio, in cui, alla fine, tutto è un gigantesco gioco ripreso dalle televisioni. Ci sono stati dei VG che hanno ripreso questo spunto (es. Insider , o The Hunter ) in cui il protagonista è un condannato alla pena capitale, la cui unica possibilità di evitare l’esecuzione è di prendere parte ad un gigantesco gioco, ripreso dalle telecamere: praticamente vengono buttati in questa arena e quello che sopravvive avrà garantita la vita. Questi, probabilmente, sono stati i pochi scambi che ci sono stati. Del resto il format dei VG è molto diverso da quello televisivo.

Secondo te, The Sims , il gioco in cui si simula di essere un personaggio, con una sua personalità, in un mondo di altri personaggi, potrebbe essere il primo reality show?
Si, potrebbe. Però somiglia di più ad una soap opera. Senz’altro l’idea de il Grande Fratello può essere correlabile, però vi sono tante variabili che sfuggono. Per esempio, The Sims On Line è la trasposizione a livello di gioco di ruolo di massa di The Sims . Attualmente il gioco sta avendo un pessimo successo perché alla fine manca un qualcosa che ti invoglia ad andare avanti e si è trasformata in una gigantesca “chat animata”; ma, soprattutto, si sono create una serie di dinamiche sociali che non erano previste dallo sviluppatore e che hanno inficiato la bontà del gioco. Ad esempio, ci sono i whimpers , dall’inglese “piagnucolare”, che arrivano in giardino e si mettono a piangere e tu devi dargli dei soldi per farli andare via, altrimenti stanno tutto il tempo a piangerti in giardino. Oppure ci sono dei racket come, ad esempio, quello in cui devi pagare il pizzo altrimenti vengono e ti distruggono tutta la struttura che hai creato.

Hanno introdotto la vita reale.
Esatto. Il problema, però, è che la televisione è finzione. Prendi un Grande Fratello in cui possono accadere queste cose: il format televisivo cesserebbe di esistere. Mentre ci può essere un certo grado di sovrapposizione tra cinema e VG, perché sono essenzialmente delle storie, con un inizio e una fine, la televisione è quella mezzora di completa finzione che si basa su regole che non possono essere mutate. Se nel Grande Fratello potesse entrare una persona che si mettesse a piangere in salotto, cosa succederebbe? La trasmissione andrebbe a monte (o forse diventerebbe interessante, dipende dai punti di vista). Insomma, vedo tra TV e VG meno possibilità di interlacciamenti rispetto al cinema.

Gli sviluppi del VG quali potrebbero essere?
Vi sono sviluppi tecnici e sviluppi contenutistici. Quelli tecnici saranno notevoli. L’hardware per PC è sempre più potente: io stesso assisto a delle cose che non avrei neanche lontanamente immaginato. Queste nuove possibilità tecniche permettono nuove libertà espressive. Per fare un esempio, l’introduzione della terza dimensione non è stata una questione puramente estetica: siamo passati da un gioco come Pac Man ad un gioco come Pac Man in 3D. La possibilità di creare in tre dimensione ha generato tutto un nuovo tipo di giochi che non erano concepibili perché tecnicamente irrealizzabili. Posso immaginare delle evoluzioni che vedono delle grafiche sempre più realistiche, delle mappe sempre più grandi, soprattutto per un tipo di gioco (es. Mafia ) in cui c’è un personaggio che vive una sua vita all’interno di città che sono vere, pulsanti, con mappe enormi. In uno di questi giochi ho perso un’ora della mia vita a seguire una persona per vedere cosa faceva. Ed era bellissimo notare che questa persona sembrava dotata di vita propria. Mi ricordo che ho cominciato a seguirla da quando è uscita di casa: è una bella donna, mi sono detto, vediamo cosa farà. Che poi, tra l’altro, nel gioco si vociferava che fosse anche una prostituta. Anziché seguire il mio corso nell’avventura che era quello che avrei dovuto fare, il videogioco mi ha permesso una tale libertà d’azione da disinteressarmi di quella che era la mia trama. E l’ho seguita nel negozio o quando è andata a fare la spesa: poi ha iniziato a piovere ed ha aperto l’ombrello. Ed era affascinante stare a vedere questa persona, anche se la mia osservazione era un dettaglio talmente marginale che nessuno se ne sarà accorto; ma se si fossero concentrati su quel singolo individuo avrebbero visto che io ero lì da qualche parte. E la cosa sbalorditiva è che, quando poi lei è salita a casa, io l’ho seguita per le scale e, arrivati davanti alla porta di casa sua, si è girata e mi ha detto: “adesso smettila di seguirmi”. Probabilmente ciò è accaduto perché non era un personaggio così marginale, perché i designer avevano voluto che avessi delle informazioni su questo personaggio e, forse in modo estremamente lungimirante, avevano pensato che qualcuno avrebbe potuto fare quello che ho fatto io e hanno inserito nello script questa battuta. Però ti lascio immaginare come sono rimasto di stucco. C’è però un altro sviluppo del VG che è di tipo espressivo. Una cosa su cui ci arrovelliamo molto spesso noi addetti ai lavori è se il VG sia arte o meno. Tutti noi abbiamo l’ambizione di lavorare in un ambiente artistico e non solo ricreativo. Su questo aspetto ho molti più dubbi. Il VG ha tutte le potenzialità per diventare arte e ci sono degli artisti che stanno già provando a fare dei VG come delle forme d’arte. Nel numero di settembre di TGM c’è uno speciale in cui degli artisti all’avanguardia che hanno deciso di prendere dei motori grafici di giochi già esistenti e cambiarli completamente per visualizzare cose visivamente impressionanti. Ho visto, ad esempio, la foto di un soldato che muore ed al posto del sangue escono petali di rose.

E’ ipotizzabile un mercato “d’essai”per i VG?
I VG ora costano tantissimo. Nelle mille scelte su cosa e come farlo, il peso del budget è fondamentale. Ciò implica che se il VG non è di cassetta, non viene neanche più fatto. Manca una Miramax, cioè manca una software house che decida autonomamente progetti dall’alto valore contenutistico e non solo di cassetta. Anche i piccoli realizzatori indipendenti, per essere poi distribuiti a livello mondiale, devono affidarsi al grosso distributore che tende a mettere delle condizioni sul gioco altrimenti non te lo distribuisce.

Vengono già usati i VG per formare il personale nelle aziende?
Già accade. Se è per questo ci formano anche gli eserciti. Vengono formati i piloti d’aerei da decenni, con i vari simulatori di volo (vedi anche l’iter di formazione di alcuni degli attentatori alle Twin Towers). Ho notizia di giochi simulativi per ricreare situazioni aziendali, sia private che pubbliche. America’s Army è un simulatore di guerra finanziato dal Pentagono e serve per fare propaganda all’esercito americano. In questo VG si simula, dalle fasi iniziali fino ai combattimenti veri e propri, proprio con le armi in dotazione all’esercito americano, le divise in dotazione, le strutture in dotazione. Per dire fino a che punto vengono usati, mi viene in mente Los Angeles in cui si svolge la più grossa fiera mondiale di VG e l’anno scorso, io ero in coda per entrare come tanti altri, per due volta di fila è arrivato un elicottero Apache che si è fermato a trenta metri d’altezza su di noi: funi che calano giù, marines in mimetica che scendono, ti danno la copia omaggio del gioco e se ne vanno. Questo è l’esempio di come un’amministrazione pubblica usi il VG per scopi propagandistici.

I VG tendono più a rappresentare la realtà oppure ad elaborarla?
Si è partiti con l’elaborazione, per il semplice motivo che non si poteva tecnicamente ricreare la realtà. Il mio predecessore alla direzione di TGM sta producendo dei film d’animazione (Max Remoti?) in computer grafica. Ha prodotto un cortometraggio tempo fa che si intitolava “ L’uovo ”. Una storia molto triste e adulta, quindi molti successi di critica e pochi di mercato. Lui aveva scelto dei charapter designer dei personaggi molto accentuati. Quindi i visi erano abbastanza ovali, i nasi poco accennati, gli occhi che erano solo due pallini neri. Una scelta poco tendente alla riproduzione del reale. Quando gli ho chiesto perché avesse fatto questa scelta, lui mi ha risposto: “semplice, perché non avevo il computer abbastanza potente per fare le facce come fanno alla Pixar ”. I VG erano una volta molto poco realistici proprio per i limiti delle macchine. Oggi è diventata soprattutto una questione di texture , di illuminazione. Parlavo qualche giorno fa con i tecnici della Anvidea e gli ho chiesto perché, quando entro nella stanza di un VG, per quanto sia realistica, non è mai come entrare nella stanza di casa mia? Perché c’è quel faretto che genera fotoni che rimbalzano sulle superfici che, a loro volta, hanno il loro grado di rifrazione e così via. Le future schede video calcoleranno anche questo. La tendenza, con il progredire della potenza delle schede video, è verso il massimo realismo. Ho visto dei giochi in prossima uscita in cui sono state calcolate le venuzze sul naso. Sono dei giochi. I creatori giocano con i loro giochi e riescono a divertire perché si divertono.

Chi sono i lettori di TGM?
The Game Machine è una rivista nata pionieristicamente nel 1989, periodo nel quali i VG non erano un fenomeno di massa. Ci sono dei lettori che non ci hanno mai abbandonato da allora ad oggi. Sono persone che oggi sono più che quarantenni. Poi si sono aggiunte le nuove leve. Un pubblico estremamente eterogeneo, dai dodici ai quarantacinque. Mi rendo conto che, quando scrivo i miei editoriali, tendo a scrivere per un pubblico dai venticinque anni in su e devo sforzarmi di tenere a mente che mi leggono anche degli adolescenti. E’ un pubblico molto appassionato. Tre anni fa abbiamo aperto il sito ed è stato un crescendo. Abbiamo quasi la metà dei lettori che, dopo aver comprato la rivista, vanno sul sito.

Che genere di film o che autori preferisce?
Sono abbastanza onnivoro. Mi piace tutto quello che è bello. Mi è piaciuto Matrix o Un affare di gusto , film francese, su una persona che aveva problemi a vivere la vita e si era cercato un assaggiatore che, prima si occupasse del cibi, poi gli assaggiasse la vita. Si era, quindi, creato un rapporto empatico tra i due per cui uno trasferiva le emozioni all’altro. Vado spesso al cinema, anche perché perché ho fondato una rivista che si chiama Cult Fiction che si occupa di cinema e televisione.

Vede spesso film a noleggio?
Generalmente noleggio i DVD ma, se sono film che non sono ancora arrivati in Italia, li scarico.

Vede programmi in tv?
La tv credo di non averla mai guardata un granché. Se guardo qualcosa sono prevalentemente i telegiornali e i documentari scientifici. Fanno eccezione anche alcune serie tv, come i Soprano’s

Se volesse mettere una telecamera in un posto del mondo per rappresentare i nostri tempi, dove la metterebbe?
In bagno. Il luogo scevro da qualunque forma o impostazione. Lì anche Bush diventa solo George.

Il suo VG ideale dove si ambienterebbe?
Ho amato tantissimo il VG di Blade Runner , perché mi piacciono molto quelle ambientazioni. O anche quelli che uniscono il medioevo, la magia, le religioni, la scienza e le tecnologie.

LA RIVOLUZIONE WII – Il recupero del movimento

dal sito (chiuso) psicologiadellaudiovisivo.it ripropongo questo articolo del 2007

In questo 2007 un’altra grande evoluzione si aggiunge nella storia del videogioco. Dopo l’avvento del joystick e la grafica 3D, la Nintendo Wii aggiunge il corpo. Attraverso il suo controller di nuova concezione questa console richiede il coinvolgimento del corpo dei giocatori che vengono attirati nella nuova tridimensionalità ludica. Se negli scorsi anni i nostri avatar avevano conquistato una consistenza virtuale grazie alla grafica 3D, oggi questa tridimensionalità si proietta nella fisicità del giocatore. É una conquista molto importante perché si apre una nuova strada anche nella dinamica psicologica della fruizione

Nella fisiologia del giocatore di videogame esistono alcune caratteristiche invariabili. La prima è la limitatezza dell’angolo di visione. L’intero mondo del videogioco è incorniciato dal monitor che, per quanto grande, toglie uno degli aspetti più importanti dell’esperienza sensoriale della visione, cioè la vista laterale.

Questo aspetto della visione è basato sulla percezione del movimento ed è quello che ci permette, in una partita di calcio, di “intuire” la corsa di un compagno di gioco; o, nella guida, di capire che un’altra macchina ci sta affiancando per superarci: il tutto senza abbandonare con lo sguardo il nostro centro di attenzione. Per tornare ai movimenti oculari, c’è da notare come l’interazione ravvicinata tra immagine e occhio sia necessariamente unidirezionale durante la performance. In queste condizioni è facile che possano insorgere dei mal di testa dovuti allo stato tensivo dei muscoli oculari, fissi forzatamente sullo schermo. La seconda caratteristica, similmente agli occhi, lo stato di immobilità forzata si verifica anche per il resto del corpo: la posizione seduta e l’uso prolungato della tastiera o del mouse generano delle tensioni muscolari e delle trazioni/compressioni delle articolazioni del polso, del gomito della spalla e del collo.Infine, una terza caratteristica “funzionale”: tutti i videogiochi d’azione, ovvero gli sparatutto, i picchiaduro o gli sportivi, si basano sull’azione dell’avatar nello spazio 3D del gioco. Il nostro cervello, quindi, deve elaborare una risposta motoria per poter immaginare il movimento da compiere ma inibirla.

Questo stato di inibizione alla lunga può determinare dei disturbi, anche non necessariamente correlabili con l’azione dell’avatar. Se si osservano i bambini mentre giocano, si nota che, man mano che si scende con l’età, diventa maggiore l’attività motoria inconsapevole durante le sessioni di gioco, ciò a testimonianza del lavorìo fisico a cui si è sollecitati nelle sessioni di videogioco. La dinamica di “immobilizzazione”, tipica delle situazioni preparatorie all’attacco/fuga, sono avviate dalla Reazione di Orientamento: “Tutti i muscoli finiscono col trovarsi in uno stato di contrazione isometrica (…) essa provoca un elevato consumo di ossigeno a livello cellulare del tessuto muscolare e soggettivamente una percezione di “tensione” (che diventa anche tensione psichica)” [Ruggieri, 1988].

Con la Nintendo Wii parte dell’attività motoria inibita viene ripristinata. In tutti i giochi in cui è necessario compiere dei movimenti, come quelli sportivi, si è chiamati ai movimenti reali. La tecnologia wireless Bluetooth del controller riesce a sostenere un software che interpreta abbastanza bene i movimenti, traducendoli in effetti e traiettorie. Come hanno rilevato alcuni, “la precisione del Wii Remote può essere considerata molto buona quando i movimenti di gioco sono ampi, mentre laddove si renda necessario eseguire dei movimenti più limitati, a volte il controller non risponde in maniera ottimale. Un esempio può essere quello del golf: in prossimità della buca, spesso è necessario ripetere il movimento più volte per colpire effettivamente la pallina” [Cristoforetti-Ghigi, 2007]. Non siamo arrivati ancora alla realtà del movimento perché i gesti necessari per giocare con la Nintendo Wii mancano di altre componenti: in un colpo di mazza nel baseball manca la fisicità dell’impatto con la palla, del trasferimento dell’energia cinetica dal braccio alla pallina. Questa mancanza fisica dell’impatto induce il videogiocatore a compiere un’azione di arresto del movimento: come avviene nel karate in cui il colpo viene portato ma bloccato prima dell’impatto con l’avversario. Anche in questo caso è possibile avere degli effetti collaterali, tanto che i costruttori della console raccomandano all’utente di mantenere una certa distanza di sicurezza dagli oggetti circostanti, in modo tale da evitare possibili contatti durante la partita. Come anche avvertono che l’uso prolungato può provocare risentimenti muscolari e articolari.
Un altro aspetto del vissuto generato nel videogiocatore dalla tecnologia Wii è nella qualità dell’immersività [Bartolomeo, Caravita, 2004], ovvero della capacità di assorbimento dell’attenzione richiesta dal videogioco e dal grado di coinvolgimento emotivo a cui è spinto il giocatore. Per rendere un’idea ecco una testimonianza. “Giocare a bowling, a tennis, a golf e a baseball è un vero spasso, soprattutto se sono coinvolti più partecipanti … la stanza diventa un’ammucchiata di corpi in movimento alla ricerca della battuta vincente, dello swing perfetto, dell’effetto distruttivo per compiere una serie infinita di strike! Wii fa bene alla salute, ci si muove parecchio, non è una seduta di aerobica, ma poco di manca. Al termine delle mie serate, dopo un’ora di gioco, diventa imperativo buttarmi sotto la doccia. Ovviamente mi riferisco al gioco sportivo, pilotare i bolidi di Need For Speed Carbon è molto più rilassante, ma non per questo privo di adrenalina! Con Wii non giochi con il videogioco, SEI PARTE DEL VIDEOGIOCO e la sensazione è incredibile, soprattutto se la tua partita è avvolta dall’atmosfera di un sorround, tutto è incredibilmente realistico e magico. Per concludere, reputo Wii la consolle perfetta per la famiglia e per il divertimento di gruppo se utilizzata con giochi di aggregazione quali Wii Sport e Wii Game” [Mavero Aka Mauro; 2007].
Un ultimo aspetto avvalorato da questa testimonianza e sottolineato dalla campagna pubblicitaria che ha preceduto l’introduzione nel mercato della Wii, è la recuperata dimensione sociale del gioco: negli spot tv, infatti, si vede un noto attore che invita gli amici a casa a giocare. Il videogioco, al pari di tutti i giochi, non è necessariamente vissuto come una fuga in un bozzolo ludico, come testimoniano i ragazzi preadolescenti da noi intervistati [Paolillo, 2007].
La console della Nintendo è solo l’ultima innovazione e su questa scia possiamo ipotizzare delle versioni future in cui la complessità del movimento potrà essere accentuata con altri controller da attaccare ad altre parti del corpo, come i piedi per un gioco del calcio. L’unico limite, per ora, rimane il monitor, in questa dimensione monodirezionale del videogioco sembra un limite arduo da valicare.

Bibliografia

Bartolomeo A., Caravita S.; “Il bambino e i videogiochi”; Roma, 2004; Edizioni Carlo Amore
Cristoforetti J., Ghigi A.; “Nintendo Wii” in pctuner.net del 9-12-2007
Mavero Aka Mauro; in “Nintendo Wii. Una nuova dimensione” da it-adviser.info del 21-3-2007
Paolillo S.; “Indagine sul consumo di audiovisivi nei preadolescenti”; in psicologiadellaudiovisivo.it del 2007
Ruggieri, V.; “Mente corpo malattia”; Roma, 1988; Il Pensiero Scientifico