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ANSIA DA PRESTAZIONE GIORNALISTICA

In presenza di un accadimento, di una notizia o presunta tale, accade molto spesso di assistere ad un tumultuoso rincorrersi dei media informativi nel tentativo di essere davanti, essere i primi a dare l’ultimo aggiornamento. È sufficiente che una testata dia una presunta “notizia clamorosa” che tutti gli altri cominciano a rilanciare la stessa notizia. Questa sorta di conformismo giornalistico si traduce in quella che essi stessi chiamano la paura di bucare la notizia. Quindi si genera quel fenomeno in cui più i media trattano un tema, più si persuadono (collettivamente) che quel tema sia “indispensabile”, crogiolandosi in modo esagitato in un eccesso centrifugo di informazione: nei fatti, un riverbero informativo da ansia da prestazione.

Un effetto collaterale di questa prassi ansiosa è che molto spesso (grandi e piccole testate) rilanciano la “notizia” nel più breve tempo possibile, senza procedere ad una rigorosa verifica (in gergo detto fact checking). Gli errori e le inesattezze che vengono diffuse non sono poi rettificate, confidando nell’oblìo del pubblico e sentendosi coperti dell’effetto distraente del continuo flusso di informazioni. Ciò è vero soprattutto, ormai, ad opera dei social media che gli utenti si vedono piovere sui propri schermi, tanto in forma di post sponsorizzati, quanto in forma di articoli condivisi (di cui si legge solo il titolo). Nei rarissimi casi in cui si assiste ad una rettifica, queste hanno una visibilità irrisoria rispetto al clamore dato precedentemente alla notizia falsa di partenza. Si sa che la smentita non ha dignità di notizia.

Ma esistono anche altri vantaggi derivanti da questo modo di “fare informazione” perché ingigantire un evento e riproporlo attraverso continue minime varianti porta alla narrazione: non siamo più di fronte ad un semplice elemento di informazione ma davanti ad una narrazione in piena regola. Narrare  – si sa –  induce alla fidelizzazione, ovvero si rimane ad attendere gli “sviluppi della storia” come si fosse alla visione di una vera e propria soap opera.

Un altro effetto di questo martellamento informativo ad alzo zero fu dimostrato da una ricerca che appurò che se non si dispone del tempo necessario per valutare le informazioni, il nostro cervello tende a considerare vere quelle che vengono diffuse in modo rapido e con un flusso continuo, ovvero le valutiamo secondo le dinamiche del pensiero euristico che è quel tipo di ragionamento che si basa su scarsi elementi e che ci restituisce una valutazione intuitiva. La penetrazione pervasiva delle notizie, grazie alla capacità capillare di contatto che ci viene dalla rete (soprattutto in quel terminale privato che è lo smartphone), può far percepire come vero ciò che non lo è. È la diffusione stessa a creare l’evento secondo la regola che un fatto esiste perché ne parlano (il fenomeno dell’Agenda Setting si basa su questa percezione). Quando uno pseudoevento, un’opinione, un pregiudizio, un pettegolezzo, una diffamazione, ha assunto un valore di verità per tanti, diventa difficilissimo smontarlo.

Con questa forma è possibile identificare anche un altro effetto, caratteristico di radio e tv, che potremmo definire effetto Mentana: il parlare veloce e senza pause in tv genera facilmente una sensazione di credibilità (“parla così perché sa quello che dice“) ben al di là dei reali contenuti.

Insomma, una vera e propria ansia da prestazione giornalistica è alla basa dei fenomeni descritti che, però, hanno pesanti ricadute nella vita della nostra società. Questi (ed altri) meccanismi consentono di infiltrare la paura nelle menti delle persone. E sappiamo a cosa porta la paura in un regime democratico.

SINTASSI TELEVISIVA CONTEMPORANEA, OVVERO DEL MOVIMENTISMO A PRESCINDERE

Ipotesi 1: i movimenti di camera nella sintassi della ripresa della regìa contemporanea sono di molto superiori al passato

Ipotesi 2: l’aumento del dinamismo della ripresa è frutto del seguente sillogismo: nei programmi di una volta si faceva poco movimento delle camere; se voglio fare una regìa diversa devo aumentare il dinamismo; un programma con una regìa dinamica nella ripresa è moderno

Ipotesi 3: gli effetti del dinamismo nella ripresa sono complessivamente un danno alla comprensione dell’azione scenica e, quindi, della fruibilità dello spettatore

Nella storia della televisione, non solo italiana, si è assistito ad un’evoluzione del “linguaggio”. Come nel cinema, i professionisti della televisione – e soprattutto i registi – hanno sperimentato varie forme stilistiche, varie combinazioni di “confezionamento” dell’immagine tv. La perplessità nasce dalle modalità con cui si è proceduto alle sperimentazioni. L’istanza a cui è sembrato rispondessero le variazioni nei modi di riprendere un evento è sembrata più quella di “differenziarsi dal precedente” piuttosto che “aderire ed esaltare sempre più al contenuto”.
Un tentativo per provare a verificare empiricamente questa sensazione è possibile farlo confrontando due tranci di televisione simili ma distanti nel tempo. Ho trovato in rete il balletto della sigla di Canzonissima 1971 (regìa di Eros Macchi) e un balletto nel programma I Migliori Anni del 2011 (regìa di Maurizio Pagnussat).
Ho provato a prendere in considerazione due parametri: ritmo di montaggio e movimenti di camera. E’ conclamato che il senso del ritmo audiovisivo viene dato dalla combinazione di questi due elementi che vanno a formare la sintassi dell’audiovisivo stesso. Il ritmo nel montaggio è funzione della cadenza della successione delle transizioni, ovvero soprattutto di stacchi e dissolvenze. I movimenti di camera sono verificabili nell’esperienza del fruitore, ovvero del telespettatore, tanto dai movimenti reali delle telecamere (panoramiche e carrelli) quanto dai movimenti apparenti, cioè i movimenti ottici definiti zoomate.
In coda all’articolo troverete le schede dei due video presi in esame ed i relativi link. Le conclusioni a cui si arriva è che se il ritmo in montaggio vede una leggera dinamicità in più per la regìa contemporanea di Pagnussat, dall’altro vede quest’ultimo propendere per un’intesa movimentazione delle camera. Praticamente, tre scene su quattro consistono in movimenti di camera, siano essi di zoom o di camera.
A questo punto viene spontaneo domandarsi quale stile di regìa sia meglio. Difficile dirlo, perché lo stile è una componente del gusto che è soggettivo per definizione. E’ possibile, però, fare qualche considerazione. La prima è che possiamo dire verificata la prima ipotesi: l’accelerazione nel ritmo del montaggio (sia esso in registrazione, sia in diretta) è una cifra linguistica comune a tutti i prodotti audiovisivi. In questo ha fatto scuola una prassi soprattutto statunitense che, attraverso i film ed i telefilm, ha educato il pubblico ad un montaggio sempre più serrato, denso: il massimo del significato col minor numero i secondi. Uno stile molto pubblicitario, da advertising.
La seconda considerazione è che appare verosimile la seconda ipotesi. Ad una attenta visione è facile notare come gli stacchi nel video più recente siano generalmente fuori tempo e che, quindi, entrino in dissonanza con l’azione dei ballerini. Una sequenza incalzante di movimenti delle camere che sembra frutto di un’ansia da prestazione e che può avere, come effetto collaterale nello spettatore, connotazioni ansiogene. Ciò perché tutto ciò che il cervello trova “non facile” da comprendere – che necessita di un’elaborazione – costituisce una fatica, una sollecitazione nella produzione di senso da parte dello spettatore. Nel balletto in particolare, la fruizione ideale è quella teatrale, ovvero col punto di vista di uno spettatore al centro della platea di un teatro: ciò proprio per esaltare il lavoro dei danzatori, il loro movimento coordinato. Il movimento della camera con inquadrature che non mostrano il movimento collettivo obbligano chi guarda a “ricostruire” nella sua mente l’azione di tutti i ballerini, così da poter mettere in relazione la successione delle inquadrature.
Infine, possiamo dire che appare verosimile anche la terza ipotesi che vede il permanere il dubbio sulla gradevolezza della sintassi televisiva contemporanea, almeno per quanto riguarda un balletto. Soprattutto se si considera che negli ultimi venti anni sono cresciute varie generazioni di telespettatori che hanno consumato migliaia di videoclip, una delle forme più sofisticate di riprese audiovisive in relazione alla musica. Il pubblico, quindi, è abituato ad una “pulizia”, ad una precisione che difficilmente non salta agli occhi quando il prodotto è realizzato con criteri che non siano adeguati agli standard imperanti.
Per concludere, si hanno molte perplessità sulla effettiva gradevolezza, consapevole o inconsapevole, per gli stili di regìa contemporanei che abbiano i tratti di un “movimentismo a prescindere

SCHEDA 1

“Chissà se va” (balletto sigla di Canzonissima 1971 – regìa Eros Macchi) 3’ 00”

Stacchi/diss – 43 – 4,18 stacchi/sec
Zoom – 1
Pan/tilt/carrello – 7
Movcamera (zoom+pan/tilt/carr): 8 – 16%

SCHEDA 2

“Balletto Abba” (balletto programma I Migliori Anni 2011 – regìa Maurizio Pagnussat)

Stacchi/diss – 50 – 4,52 stacchi/sec
Zoom – 24
Pan/tilt/carrello – 12
Movcamera (zoom+pan/tilt/carr): 36 – 72%

Canzonissima 1971

I migliori anni

Canzonissima 1971

UNO STUDIO SULLA PUBBLICITA’ TELEVISIVA – Dai tagli nel montaggio all’ansia

dal sito (chiuso) psicologiadellaudiovisivo.it ripropongo questo articolo del 2007 a firma Stefano Paolillo e Lucilla Bartocci

L’intervista a Rosa Moi è stata preceduta da due avvenimenti. I primo è stato il racconto informale da parte della stessa della vita con i “ragazzi” della cooperativa; il secondo è stato il nostro desiderio di andare più a fondo sugli effetti collaterali della pubblicità televisiva. Gli effetti che Rosa Moi raccontava dei suoi pazienti ci generava la sensazione che gli spot fossero diventati esageratamente frenetici, soprattutto per alcuni tipi di personalità. Abbiamo così ideato lo studio che proponiamo.

L’assunto iniziale è stato che la successione dei tagli nel montaggio degli spot fosse diventato troppo rapido. Il “troppo” andava meglio definito, per cui abbiamo dovuto trovare un termine di confronto. Lo abbiamo cercato negli altri manufatti audiovisivi che, contenporaneamente, vengono proposti insieme agli spot. I programmi, quindi, ma anche i telegiornali o i film . La nostra intenzione “dare un’occhiata”: una sorta di ampia e curiosa esplorazione.

Il primo problema che abbiamo affrontato è stato quello di definire il campione su cui compiere l’osservazione. L’intero universo degli spot pubblicitario sarebbe diventato un lavoro mastodontico. Ci siamo accontentati di seguire l’onda del “massimo flusso” delle persone e abbiamo scelto di vedere ciò che vede il pubblico delle reti generaliste. Anche così il numero di spot rimaneva consistente quindi, per poter avere un panorama abbastanza vario, abbiamo scelto di rilevare gli spot in un periodo ampio (tre mesi) in cui registrare con metodo random. Infine, il nostro campione si è composto di 263 spot, di vario taglio e di varie tipologie di prodotto.

Qualche parola va spesa per illustrare i criteri che ci hanno guidati alla realizzazione delle categorie per “generi di prodotto” in cui raggruppare gli spot . La prima considerazione è che, usando il metodo random per la rilevazione, non avremmo avuto l’intero panorama dei prodotti pubblicizzati: le categorie sarebbero, dunque, state realizzate sugli spot effettivamente registrati. Abbiamo definito, poi, delle categorie di prodotto con criteri di ragguppamento che ci mettessero dalla parte di chi vede gli spot, ovvero le persone che dovrebbero usare i prodotti pubblicizzati. Per cui nella categoria “alimentazione” sono finiti sia i cibi sia le bevande; nella categoria “tecnologia per lo spostamento” sono stati aggregati tanto le valigie quanto le automobili. Ne sono nate delle metacategorie che, di fatto, ne raggruppavano altre: prodotti chimici, prodotti tecnologici, servizi, più altre semplici come alimentari, commercio e strutture di vendita, editoria di informazione e di intrattenimento. In quest’ultima sono confluiti sia giornali e libri, sia i prodotti televisivi. Per i dati in dettagli si può consultare l’appendice a fondo pagina.

Al momento di trarre le conclusioni della nostra osservazione è apparso evidente che la nostra impressione iniziale era ampiamente confermata. La frequenza con cui si susseguono i tagli negli spot esaminati è decisamente superiore agli altri programmi . Abbiamo pensato di ipotizzare alcuni possibili effetti di questa frenesia.

La considerazione teorica che ci ha guidati è che “ la televisione, soprattutto quando le sequenze sono rapide, provoca successioni di Reazioni di Orientamento senza lasciare il tempo per la chiusura, ossia per delle risposte motorie, verbali o cognitive che consentano di integrare le informazioni su base cosciente, di farne una decodifica ” [Oliverio Ferraris, 2004].

Dunque, un’effetto c’è. La letteratura psicologica sugli effetti della Risposta di Orientamento è sterminata. Noi abbiamo rintracciato alcuni elementi che sostenevano l’assunto che questi ritmi degli spot potessero avere degli effetti non immediatamente visibili.

Il primo è sul fenomeno della non-attenzione . Nella visione della televisione si instaura uno stato particolare di Non Attenzione. La persona, attraverso un continuo spostamento dello sguardo che riduce al minimo i tempi di fissazione, ha un effetto di non attenzione che è assimilabile al comportamento di fuga . Tale comportamento è una delle possibili risposte che seguono l’ansia e l’allarme. Si esprime in questo modo un elevato livello di Reazione di Orientamento (allarme) con un bassissimo livello di attenzione. Una “occhiata” è uno sguardo rapido che si caratterizza per una fissazione temporanea dell’oggetto seguita da un rapido e brusco spostamento dello sguardo dall’oggetto osservato. In queste condizioni il soggetto si sente in allarme, il sistema nervoso viene eccitato e pronto alla fuga senza che egli ne sappia il motivo, poiché non c’è un’attenzione efficace [Ruggieri, 1987]

Intorno alla fruizione televisiva, quindi, esistono delle condizioni che possono indurre ansia nelle persone, anche se non c’è violenza. Che tipo di effetto può avere e come può influire nella vita delle persone? Ci soccorre ancora la letteratura in tal senso che ci suggerisce che la persistenza di uno stato d’ansia può scaturire in una condizione di disagio o, addirittura, di malessere. La Reazione di Orientamento , se mantenuta attiva per un tempo prolungato, infatti, ricrea una situazione di immobilizzazione tipica dello stadio che precede l’attacco/fuga in caso di minaccia. “ Tutti i muscoli finiscono col trovarsi in uno stato di contrazione isometrica (…) essa provoca un elevato consumo di ossigeno a livello cellulare del tessuto muscolare e soggettivamente una percezione di “tensione” (che diventa anche tensione psichica)” [Ruggieri, 1988]. Ma se non riusciamo ad elaborare questa esperienza, perché lo spot non ci lascia il tempo di “chiudere” la nostra esperienza, allora è molto probabile che questa sensazione di malessere non venga neanche a coscienza : attribuiremo il nostro indistinto malessere ad un a cattiva digestione o al fidanzato che non chiama.

Gli effetti appena esposti sono deliberatamente cercati dai pubblicitari o sono un effetto parassita? Per provare qualche traccia abbiamo letto i risultati ottenuti dalle frequenze di taglio dei nostri spot con le considerazioni appena esposte. La considerazione iniziale, lapalissiana, è che il primo risultato che uno spot pubblicitario deve ottenere è quello di essere visto, per cui mira a catturare l’attenzione . Il montaggio filmico è uno degli elementi principali di questa intenzione e la frequenza con cui si succedono le varie inquadrature può essere uno dei metodi. Questa frenesia filmica potrebbe anche essere indotta dalla necessità di riuscire a compiere una narrazione completa in pochi secondi ma, usando una metafora, la sintesi dei versi poetici non viene dalla quantità di parole messe in un singolo verso ma dalla capacità evocativa del minor numero di parole. Possiamo ipotizzare che la tecnica del montaggio serrato punti proprio a tenere alta la risposta d’ansia: una specie di strada breve verso l’attenzione dello spettatore. Se questa tecnica viene usata deliberatamente allora ne avremmo dovuto trovare traccia nelle tipologie di spot e, quindi, il ritmo dei tagli dovrebbe variare in virtù del pubblico di riferimento (target). In effetti abbiamo trovato che esiste una tendenza ad accelerare o rallentare il ritmo a secondo del tipo di spot. La media degli spot dei prodotti alimentari e dei prodotti tecnologici per lo spostamento è superiore alla media del campione. Ma il ritmo sale vertiginosamente per i prodotti tecnologici per la ricreazione: nel nostro campione questi prodotti erano tutti destinati ai bambini. Possiamo pensare, quindi, che quando si prova a indurre all’acquisto dei bambini (magari spingendoli al nag factor , alla richiesta insistente e lamentosa) i pubblicitari puntino proprio sulla minore capacità dei bambini di elaborare l’esperienza della visione di uno spot così frenetico. Ardita conclusione, ma neanche troppo se pensiamo che “ per riuscire a vendere, gli esperti in marketing si avvalgono di tecniche raffinate. Essi non cercano di convincere con argomenti o ragionamenti, ma di aprire una falla nello spirito del detinatario per insinuarvi un’opinione o provocare un comportamento senza che costui si renda conto del tipo di intervento che si sta facendo su di lui ” [Oliverio Ferraris, 2004].

Tutti i dati raccolti e tutte le considerazioni fatte ci inducono a continuare ad esplorare le forme degli audiovisivi, nel tentativo di coglierne aspetti non evidenti o indici di trasformazioni. Ne daremo ancora notizia in queste pagine.

Bibliografia
– Oliverio Ferraris, A.; “TV per un figlio”; Bari 2004; Editori Laterza
– Ruggieri, V.; “Semeiotica dei processi psicofisiologici e psicosomatici”; Roma, 1987; Il Pensiero Scientifico
– Ruggieri, V.; “Mente corpo malattia”; Roma, 1988; Il Pensiero Scientifico

DATI RIASSUNTIVI

Il campione è composto da 263 spot, registrati dall’agosto all’ottobre 2005

Definizione del “taglio”
Il montaggio filmico è fatto di vari elementi. Tra questi il taglio (cut) è quello che obbliga lo spettatore ad una operazione di ricerca di nesso tra l’immagine precedente e quella successiva . Nella grammatica cinematografica questi elementi servono per “selezionare, mettere in evidenza gli elementi significanti, quelli che lo spettatore deve individuare”
[Rondolino – Tomasi, “Manuale del film”, 1995, UTET]