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SIAMO TUTTI IN ORBITING DI QUALCUNO

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere l’articolo dell’ottima collega Giorgia Lauro che riferiva di quanto ipotizzava Anna Iovine  – in un suo articolo –  su un fenomeno particolarmente evidente nel mondo delle “relazioni social”, ovvero l’orbiting. Per definirlo userò esattamente quanto letto nell’articolo: “un fenomeno in cui una persona interrompe tutte le comunicazione dirette e significative, ma continua a interagire tramite i social (…) non commenta le vostre foto o invia un messaggio, ma guarda tutte le vostre Instagram Stories, condivide i vostri tweet, guarda le vostre foto su Facebook esprimendo un “like”, nel tentativo di mantenere un’interazione seppur superficiale“.

Questo articolo mi ha innescato un paio di considerazioni. La prima è che i social network favoriscono questa forma di “interazione debole“, in cui possiamo mantenere una partecipazione defilata, evitando il face-to-face che implica il coraggio-responsabilità di guardarsi. Chi non avrebbe mai espresso apertamente un gradimento ora può avere questa forma ibrida e “autorizzabile” dal nostro censore interno. La seconda considerazione è che, in fondo, noi abbiamo sempre praticato qualche forma di orbiting. Quando da ragazzi si finiva una storia, una relazione, magari si continuava a chiedere ad amici comuni cosa facesse e come stava l’ex partner; oppure si tornava davanti scuola per poterlo/la vedere ancora di nascosto. La tecnologia ha solo facilitato quello che probabilmente è una tendenza che c’è sempre stata. In fondo, i social media hanno stimolato e ingigantito quella dimensione narcisistica di base presente in ognuno di noi e che, in questo trend crescente di “emanazione del Sé“, viene frullata e centrifugata verso gli altri in modo indistinto.

Ecco perché si riesce più facilmente a rimanere in orbiting e  – senza darle necessariamente una connotazione negativa –  godere di questa interazione debole che potrebbe essere tanto una forma di micro-apprezzamenti, quanto una forma di micro-invidia. Dipende, come tutte le cose umane.

IL POZZO DI WHATSAPP

Questa storia racconta del livello di dipendenza sociale che hanno raggiunto alcuni presidi del web e di quanto si venga messi di fronte a delle scelte che erodono pezzetti (grandi o microscopici) di dignità. Per potervi esporre la morale vi devo raccontare la storia.

 

“Un potente stregone, con l’intento di distruggere un regno, versò una pozione magica nel pozzo dove bevevano tutti i sudditi. Chiunque avesse toccato quell’acqua, sarebbe diventato matto.

il-pozzo-del-villaggio-col-castelloIl mattino seguente l’intera popolazione andò al pozzo per bere. Tutti impazzirono, tranne il re, che possedeva un pozzo privato per sé e per la famiglia, al quale lo stregone non era riuscito ad arrivare. Preoccupato, il sovrano tentò di esercitare la propria autorità sulla popolazione, promulgando una serie di leggi per la sicurezza e la salute pubblica. I poliziotti e gli ispettori, che avevano bevuto l’acqua avvelenata, trovarono assurde le decisioni reali e decisero di non rispettarle. Quando gli abitanti del regno appresero il testo del decreto, si convinsero che il sovrano fosse impazzito, e che pertanto ordinasse cose prive di senso. Urlando si recarono al castello chiedendo l’abdicazione. Disperato, il re si dichiarò pronto a lasciare il trono, ma la regina glielo impedì, suggerendogli: – Andiamo alla fonte, e beviamo quell’acqua. In tal modo saremo uguali a loro – . E così fecero: il re e la regina bevvero l’acqua della follia e presero immediatamente a dire cose prive di senso. Nel frattempo, i sudditi si pentirono: adesso che il re dimostrava tanta saggezza, perché non consentirgli di continuare a governare?

 

Dobbiamo questa parabola a Paulo Coelho ed è maledettamente pertinente ed attinente a whatsapp. Ora vi spiego perché.

 

Poco più di un mese fa mi appare un messaggio dell’app Whatsapp che mi annuncia che la società proprietaria del software avrebbe proceduto ad una variazione unilaterale delle condizioni del contratto. Il numero di telefono del mio smartphone si sarebbe integrato con le attività di Facebook. Da due anni, infatti, la società detentrice di Whatsapp era stata comprata da quella di Zuckemberg che ha speso la cifra iperbolica di 19 miliardi di dollari!! Non credo che si spendano cifre simili senza pensare di guadagnarne di più. Da dove escono questi soldi? Ci spiega Giovanni Ruggiero su liberoquotidiano.itle aziende che ne faranno richiesta, dietro lauto pagamento, potranno contattarvi anche su Whatsapp per proporvi i loro prodotti. Che si tratti di un’offerta imperdibile dal supermercato vicino casa o di una banca pronta a farvi diventare ricchi se aprite un conto online da loro, solo il tempo potrà dircelo. La funzione di condivisione è già attiva in automatico, sempre nell’ottica di renderci le cose più semplici possibili. E non abbiamo neanche tante scuse, perché nell’aggiornamento della policy della app tutto questo c’era scritto“. Siamo merce di scambio e di guadagno. Semplicemente. E veniamo a me.

 

Non mi sono mai piaciute le modifiche unilaterali dei contratti (le banche lo fanno sistematicamente e con notevole spocchia) perché contengono l’implicito disprezzo per la correttezza di una relazione: è come se dicesse “faccio come mi pare e la parola data vale solo per te”. Un atteggiamento che infastidirebbe chiunque. Ma se a farvelo è l’app che tutti usano e che è entrata a far parte della vita quotidiana popolo-di-whatsappdi tutti, allora diventa un atto donchichottesco resistervi. Io ci ho provato. Ho resistito una settimana, poi sono andato a bere al pozzo del villaggio, quello che usano tutti i sudditi che sono stati rapiti dalla follia. Ora sono tornato “normale” e di nuovo nel gregge, libero di dialogare di nuovo col popolo del villaggio. Con un pizzico di dignità in meno.

VIVERE IN MULTITASKING

Uno degli effetti più vistosi, ma più profondi, della rivoluzione informatica avviata il secolo scorso è il multitasking. Con questo termine viene indicata quella procedura di lavoro che vede l’apertura contemporanea di più “finestre” sul monitor del computer, più processi allo stesso tempo: quindi, l’effettuazione di più compiti durante lo stesso tempo. Cosa comporta questo modo di lavorare?
L’effetto principale è un frazionamento dell’Attenzione che viene dispersa sui vari compiti. In realtà – se abitualmente lavorate in multitasking lo sapete già – l’attenzione è sempre e solo dedicata al compito del momento. Se sto scrivendo una lettera posso, per qualche secondo, aprire la finestra del social network preferito per controllare se qualcuno mi abbia contattato e, immediatamente dopo, aprire un’altra finestra per far partire la riproduzione di un brano musicale: infine, torno alla mia lettera. Ogni volta l’attenzione non è contemporanea su tutte le attività, ma dedicata al singolo segmento. Ciò che viene sollecitata è la connettività, la capacità di tenere dei “nessi attivi” tra le varie componenti. Possiamo dedurre, quindi, che chi lavora in multitasking riesce meno a concentrarsi a lungo su un singolo compito, ma riesce di più a mettere in relazione e le varie azioni.
Sembrerebbe che il multitasking sia una modalità vincente, ma nella vita niente è gratis. Lavorare contemporaneamente su più cose, anche se l’attenzione si sposta solo per qualche secondo, obbliga ad un lavoro cognitivo per “tenerle insieme” e ciò è dispendioso. Per esempio, ad ogni salto da un’attività all’altra è necessario un tempo di adattamento per riprendere il filo: nel complesso, rispetto allo svolgimento di ogni singola attività, ci vuole un 40% di tempo in più. Inoltre, non tutti sono in grado di mantenere uno standard qualitativo ottimale rispetto agli stessi compiti affrontati uno per volta. Infine, lo stress generato da questa sollecitazione cognitiva necessita di una superiore secrezione di ormoni come l’adrenalina e – si sa – che questi determinano un aumento delle capacità a breve termine ma un peggioramento se prolungato nel tempo.
La nostra “società 2.0” vede il multitasking come la normalità. Basta dare un’occhiata in qualsiasi luogo in cui ci sono più persone per vederle tutte “connesse” e impegnate in più attività. Dai ragazzi nativi digitali a salire, tutti si trovano sempre più spesso a lavorare in multitasking (le casalinghe lo fanno da sempre). Bisogna pagare i prezzi di questa nuova modalità di vita, soprattutto per chi non può fare altrimenti. Quindi si può dare qualche utile suggerimento.
Per prima cosa potete stabilire l’ordine di importanza delle varie attività: fate soprattutto quella e, quando vi va di “staccare” badate alle altre. Provate a fissare prima il tempo per svolgere l’attività principale, così da non trovarvi a non concluderla. Se giungono sollecitazioni esterne che non potere rinviare (mail, messaggi, telefonate…) affrontatele subito e chiudetele. Programmate anche una o più pause.
Naturalmente, anche questo articolo è stato scritto in multitasking.

Per approfondire: “L’illusione del multitasking”; Guido Sarchielli, Psicologia Contemporanea n. 235