dal sito (chiuso) psicologiadellaudiovisivo.it ripropongo questo articolo del 2004 a firma Laura Nardecchia
I cineasti sono stati spesso attratti dagli psicoterapeuti, usando e spesso abusando della loro figura. Il terapeuta ritratto al cinema è, infatti, molto spesso soggetto a stereotipi o preguidizi. I Gabbard osservano che, dall’era del muto fino all’attuale era del Dolby Sorround, i film hanno idealizzato o abbondantemente deriso gli psicoterapisti, vedendoli come oggetti, alternativamente, di disprezzo, timore o, sempre più raramente, ammirazione.
Questo “successo” della figura del terapeuta può forse essere attribuito alla sua utilità nell’accelerare i plot delle sceneggiatture. La funzione del terapeuta diventa paragonabile alle corde che muovono le marionette [Gabbard, 2000]. Diventa quasi uno “psichiatra senza volto”, piatto, monodimensionale, utilizzato unicamente come veicolo narrativo volto a facilitare l’esposizione della storia di un personaggio . Esso permette infatti di dare spiegazioni veloci attraverso i flashback; stimolare sbalorditive rivelazioni e/o rutilanti confessioni; illuminare motivazioni sepolte in un oscuro passato o in una mente malata (es. “Le schiave della città”,1944).
Da quando questa potenziale facilitazione narrativa è stata riconosciuta, i terapisti hanno cominciato ad apparire in qualsiasi genere cinematografico, dalle pellicole drammatiche a quelle horror o di fantascienza, o addirittura nei musical e western. Generalmente, nella prima metà del ventesimo secolo, però, nelle pellicole non si distingue tra le professioni mediche e non mediche nella cura delle malattie mentali e lo psicoterapeuta è assimilato ad un medico generico. Le differenze tra le professioni cominciano ad essere evidenti solo negli utimi anni con la differenziazione più fine anche tra psichiatra e psicologo.
Fino agli anni ’50, tra l’altro, la figura del terapeuta è stata ampiamente svalutata. Era considerato fortemente conformistico e al servizio del controllo sociale. O rappresentava “il cattivo” ed era autore di una malevola repressione sociale (es. lo psichiatra del film “L’invasione degli ultracorpi” del 1956). O, se rappresentava “il buono”, era colui che era specializzato nel far rientare i suoi pazienti frustrati in uno schema più conforme a quello che era il ritratto del confromismo sociale (es. “La fossa dei serpenti”, 1948) o capace solo di prescrivere rimedi semplicistici per malattie culturali complesse (es. “Odio”, 1949).
In seguito ai successi della psicoterapia registrati a seguito della seconda guerra mondiale si registra un maggior numero di film a suo favore in un crescendo che culminerà in una vera “età dell’oro”, come la definiscono i Gabbard [op. cit ], che culminerà negli anni ’60 (es. “Il Marchio”, 1961 ; “David e Lisa” , 1962). I film di questo breve periodo rispecchiavano la crescente fiducia della cultura americana nei confronti della psichiatria che veniva assimilata alla ragione e al benessere.
Negli anni ’70 vediamo un rapido declino della popolarità della psicoterapia a seguito della guerra in Vietnam, con i cineasti che diventano strenui difensori dell’anti-terapia. Iniziano dei veri e propri cicli di anti-terapismo estremamente politicizzati. Da una parte i registi di “destra” che raffigurano il terapeuta come la caricatura di un uomo effeminato e debole in contrapposizione con l’eroe macho e autoritario (es. “Il Giustiziere della Notte”, 1974). Dall’altra il ciclo dei registi di sinistra che definiscono il terapeuta come un lobotomizzatore repressivo (es. “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, 1975; “Frances”, 1982).
Solo negli anni ’90 si passa ad una raffigurazione non certo idilliaca, ma più equilibrata non però scevra di stereotipi e semplificazioni. In questi ultimi anni i film sembrano riflettere una maggiore pluralità di vedute e quindi rispecchiare l’atteggiamento dell’attuale società nei confronti della terapia moderna. I terapeuti contemporanei sono rappresentati in modo più variegato e profondo, con maggiore complessità. Gli stessi stereotipi si riflettono in modo minore, soprattutto nei film di alto livello, in cui, parallelamente, anche la rappresentazione delle malattie mentali è divenuta più realistica e raffinata (“La stanza del figlio”, 2001; “Il sesto senso”, 1999).
In generale, seguendo la categorizzazione individuata da Schneider [Schneider; 1977, 1987] si possono distinguere precise tipologie in cui i cineasti fanno rientrare i terapeuti, in particolre tre categorie con caratteristiche stereotipate analizzate successivamente dai Gabbard che sono: il dott. Dippy, il dott. Evil e il dott. Wonderful.
Il dott. Dippy , che trae il suo nome dal primo film in cui è comparso, “Dr. Dippy’s Sanitarium” del 1906, è un uomo più debole dei suoi pazienti , ignorante, sputa sentenze e scimmiotta Freud. Di solito durante il film è messo in difficoltà e umiliato tramite una ridicolizzazione dei suoi punti deboli (es. “Girandola”, 1938; “Alta tensione”, 1977; “L’Ultimo Contratto ”,1997).
Il dott. Evil è invece la versione psichiatrica dello scienziato pazzo e cattivo (es. “Ipotesi di Complotto”, 1997; “Il silenzio degli innocenti”, 1991). Uno psicopatico che si diverte a tradire la fiducia dei suoi pazienti vulnerabili, e che speso usa farmaci o ipnosi per indurli ad atti malvagi (es. “Whirlpool”, 1959). Altri usano le loro confidenze per ricattarli (“ La Fiera delle Illusioni”, 1947). Psicologi punitivi, vendicativi, assassini e spesso più disturbati dei loro pazienti/vittime (“Vestito per uccidere”, 1980).
Infine il dott. Wonderful rappresenta il buon genitore, sempre disponibile e presente in ogni momento, totalmente dedito ai suoi pazienti (“Will Hunting – Genio Ribelle”,1997; “Gente comune”, 1980).
Secondo Greenberg a queste categorie ne andrebbe aggiunta una quarta che si è sviluppata negli ultimi anni: il dott. Horny. Questo è il terapeuta “erotico” che seduce sessualmente i suoi pazienti o i familiari di questi (“Il principe delle maree”, 1991; “Basic instinct”,1992) [Greenberg; 2000]. C’è da ricordare, però, che queste figure stereotipate si riferiscono per lo più a uomini. I terapeuti femminili, infatti, sono raramente rappresentati . Quando compaiono, poi, sono viste in senso negativo, sono rappresentate soprattutto dalla loro bellezza e non dalle loro abilità terapeutiche, rientrando con poche eccezioni nel discutibile atteggiamento generale del cinema nei confronti del genere femminile. Dipinte sempre come zitelle, o se sposate sono tristi, cattive casalinghe e cattive madri. Molto spesso si innamorano perdutamente dei loro pazienti e una volta che si sposano lasciano il lavoro per dedicarsi ad attività loro più consone quali l’essere mogli e madri (es. “Io ti salverò”, 1945; “L’esercito delle 12 scimmie”, 1995; “Hunk”, 1987; “Il principe delle Maree”, 1991).
La vita privata dei terapeuti del cinema, in fondo, sembra non essere assolutamente il loro punto di forza . La maggior parte delle volte è grottescamente problematica e non riescono assolutamnete a mettervi ordine. Tutti i terapeuti che compaiono sullo schermo sono “singles” affranti ed infelici o individui reduci da separazioni o divorzi (es. “La casa dei giochi”, 1987; “Il grande cocomero”,1993). Altri, con disperato bisogno di protezione ed affetto si invaghiscono delle loro pazienti, per colmare il loro vuoto affettivo e in barba ad ogni regola deontologica finiscono con l’andare a letto con loro ( es. “Vampiro a mezzanotte”, 1988; “La visione del Sabba”, 1988; “Strana la vita”, 1987). La figura del terapeuta è quindi assolutamente e inscindibilmente legata a clichè e stereotipi . La stessa terapia è spesso stravolta. In tutti i film le regole del setting sono costantemente “violate” . Gli “analisti in celluloide”, infatti, usano spesso spazi extraterapeutici, come se fosse la cosa più normale; chi fa sedute in piscina (“Caruso Pascowsky”, 1987), chi su un lussuoso yacht (“Una coppia alla deriva”, 1987), chi su una pista di pattinaggio artistico (“Amore e magia”, 1991), chi al ristorante (“Analisi finale”, 1992).
Altre volte ci troviamo di fronte a professionisti che improvvisano nuovi approcci e metodologie, più simili a quelle di stregoni e ciarlatani che a quelle di tecnici del sapere scientifico.
Il terapeuta è spesso messo alla berlina, deriso in modo evidente (“Caruso Pascowsky”, 1987; “Terapia e pallottole”, 1999. “Terapia di gruppo”, 1987).
La rappresentazione del terapeuta che viene fuori da questa disamina non è certo idilliaca, ma forse è proprio questa rappresentazione distorta ad essere funzionale. In tal modo, lo spettatore in sala potrà sentirsi meno folle di loro e in qualche modo essere rassicurato che in fin dei conti non stà così male come credeva.
Bibliografia
Schneider I. ; 1977 “Images of the mind: psychiatry in the commercial film”, American Journal of Psychiatry;134:613-20.
Schneider I . ; 1987 “The theory and practice of movie psychiatry” , American Journal of Psychiatry;144(8):996-1002.
Gabbard GO, Gabbard K .; 2000 “Cinema e psichiatria.” ; Raffaello Cortina Editore, Milano
Greenberg HR .; 2000; “A field guide to cinetherapy: on celluloid psychoanalysis and its practitioners.” The American Journal of Psychoanalysis; 60(4):329-39
Senatore I.; 2001 “ Curare con il cinema.”; Centro Scientifico Editore, Torino.
Filmografia
Dr. Dippy’s Sanitarium di G.W. Bitzer (USA,1906)
Girandola di Mark Sandrich (USA, 1938)
Le schiave della città di Mitchell Leisen (USA, 1944)
Io ti salverò di Alfred Hitchcock (USA,1945)
La Fiera delle Illusioni di Edmund Goulding (USA, 1947)
La Fossa dei Serpenti di Anatole Litvak (USA, 1948)
Odio di Mark Robson (USA, 1949)
L’invasione degli Ultracorpi di Don Siegel (USA, 1956)
Whirlpool di Lewis Allen (Gran Bretagna, 1959)
Il Marchio di Guy Green (Gran Bretagna, 1961)
David e Lisa di Frank Perry (USA, 1962)
Il Giustiziere della Notte di Michael Winner (USA, 1974)
Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman (USA, 1975)
Alta tensione di Mel Brooks (USA, 1977)
Vestito per Uccidere di Brian De Palma (USA, 1980)
Gente Comune di Robert Redford (USA, 1980)
Frances di Graeme Clifford (USA, 1982)
La Casa dei Giochi di David Mamet (USA, 1987)
Strana la Vita di Giuseppe Bertolucci(Italia, 1987)
Caruso Pascowsky di padre polacco di Francesco Nuti (Italia, 1987)
The Hunk di Lawrence Bassoff (USA, 1987)
Vampiro a mezzanotte di Gregory McClatchy (USA, 1988)
La Visione del Sabba di Marco Bellocchio (Italia, 1988)
Una coppia alla deriva di Garry Marshall (USA, 1987)
Terapia di Gruppo di Robert Altman (USA, 1987)
Il Silenzio degli Innocenti di Jonathan Demme (USA, 1991)
Il Principe delle Maree di Barbra Streisand (USA, 1991)
Amore e magia di Terry Hughes. (USA, 1991)
Analisi finale di Phil Joanou (USA, 1992)
Basic Instinct di Paul Verhoeven (USA, 1992)
Il Grande Cocomero di Francesca Archibugi (Francia/Italia, 1993)
L’esercito delle 12 Scimmie di Terry Gilliam (USA,1996)
Will Hunting – Genio Ribelle di Gus Van Sant (USA, 1997)
Ipotesi di Complotto di Richard Donner (USA, 1997)
L’Ultimo Contratto di George Armitage (USA, 1997)
Terapia e Pallottole di Harold Ramis (USA, 1999)
Il sesto senso di M. Night Shyamalan (USA, 1999)
La stanza del figlio di Nanni Moretti (Italia,2001)