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APPUNTI AMERICANI

La mia idea dell’America con la tara di Roma

Quest’anno mi sono lanciato in uno dei classici delle vacanze transoceaniche: gli Stati Uniti. Il grande paese americano è talmente presente nella cultura occidentale che inevitabilmente si forma nella mente “una certa idea di America”. Un’idea fatta principalmente di televisione, poi di libri e film. Infine, un’idea fatta dalle chiacchiere delle persone che hanno la loro idea di America e di notizie che ci piovono addosso. Ho preso nei giorni trascorsi nelle tre città visitate degli appunti fotografici. Nelle mie lunghissime passeggiate a Boston, New York e Philadelphia, notavo situazioni che generavano il mi stupore o la mia perplessità. Ve li girerò qui con l’avvertenza che dovrete fare la tara perché il mio livello di “civiltà vissuta” è quello della Roma odierna. Quindi…

L’ossessione per le bandiere e l’identità

Una delle prime cose che mi sono saltate agli occhi nelle città che ho visitato sono state le bandiere. C’è una presenza ossessiva delle bandiere stelle e strisce. Case, autopompe dei pompieri, autobus, negozi, oltre che davanti agli edifici istituzionali. Addirittura sulla facciata di un palazzo in ristrutturazione a coprire le impalcature. Mi sono domandato a cosa rispondesse questa necessità di esporre la bandiera. Semplicisticamente potrei dire che è una forma di orgoglio, ma si è insinuato il dubbio che la necessità di affermare pubblicamente e ossessivamente la bandiera possa essere anche l’esito di un sentimento fragile di identità.

Lo stupore da grattacielo e l’assuefazione

Una delle immagini più forti che hanno costruito l’immagine collettiva degli Stati Uniti sono i grattacieli. Dal film King Kong a Manhattan di Woody Allen, passando per tutte le serie tv degli ultimi trent’anni, lo skyline delle città americane ha sempre caratterizzato la nostra concezione di America. Poi, quando ci sei dentro non puoi fare a meno di stare sempre col naso all’insù e percepire l’enormità di queste costruzioni. Però mi sono accorto che sono bastati un paio di giorni per smettere di guardare in alto e tornare al livello del suolo. Tutto ciò che è realmente importante (auto, negozi, chioschi, persone) sono a terra, quindi ci si abitua: anche ai colossi.

Giochi per bambini a disposizione senza vandalismi

Accennavo nel post di apertura al fatto che il mio metro morale parte dallo standard medio italiano che possiamo situarlo tra Bolzano e Siracusa. Il mio è tarato su Roma (purtroppo). Per questa ragione potrete capire il mio stupore nel vedere, in tutte le città che ho visitato, che in vari giardini e altri luoghi della città sono state piazzati dei giochi per i bambini e (qui lo stupore) erano aperti, a disposizione di tutti ma, soprattutto, non rubati e non vandalizzati. Questo mi ha dato una drastica misura della distanza con quella concezione di “proprietà collettiva”.

I lucchetti di Moccia a Philadelphia con variazione di recupero

Ancora lungo la linea dello stupore per la coscienza civile, a Philadelphia ho notato che l’amministrazione aveva fatto installare, a ridosso dell’attracco di alcune navi storiche, delle grate per assecondare la voglia di lucchetti d’amore (maledetto Moccia, ma sei tu la causa di questo stupida abitudine in mezzo mondo?). Ma la differenza c’è perché la stessa amministrazione ha piazzato sotto le grate delle cassette per recuperare le chiavi così da recuperare i lucchetti ed evitare costi e inutili inquinamenti. ok, le simbologie cambiano, ma si può fare questo sforzo sentimentale.

Il senso della Storia e il sasso di Plymouth

Molto spesso si accenna – con una venatura snob – che gli Stati Uniti sono una nazione che ha poca Storia. E’ vero che nascono come nazione solo nel 1772, ma da allora hanno avuto una storia tumultuosa. Nel mio viaggio, però, mi è capitato di vederla concretizzata. Ho visitato la località di Plymouth, vicino Boston, famosa per essere stata il punto di approdo della nave Mayflowers che portava i padri pellegrini che avrebbero fondato le prime colonie. Sul lungomare c’è una sorta di tempietto che fa ipotizzare qualche resto importante. Beh, c’è un sasso che le guide raccontano essere risalente “probabilmente” allo stesso periodo dello  sbarco dei coloni. Dunque, ognuno racconta la Storia come può e, in casi come questo, si passa dalla storia allo storytelling

 

Il senso della Storia e il museo di Ellis Island

L’immigrazione è un tema molto attuale e, se oggi la subiamo, in passato ne siamo stati protagonisti. Ad Ellis Island, a pochi minuti di traghetto da New York, c’è il museo che racconta il fenomeno degli emigranti che sbarcavano dai piroscafi alla ricerca di fortuna nel Nuovo Mondo. Una tenue emozione mi ha preso nel ricostruire le vite di tanti italiani (e non solo) che venivano visitati, registrati, verificati prima di essere fatti sbarcare proprio in terra americana. Una storia che per noi italiani ha densi significati, Ed infatti erano proprio tanti i turisti italiani che giravano e commentavano per le sale del museo.

Convivenza ed estremi sociali

Questa foto potrebbe raccontare di rappresentazioni sociali, di contrasti di classi o di altre cose simili. Non posso generalizzare. Ho visto troppo poco. Però questo scatto mi ha mostrato plasticamente come, spesso, le differenze hanno una breve distanza, una vicinanza che stupisce.

 La statua di Rocky e l’identità cinematografica

Ci sono luoghi che rimangono nella memoria pur non essendoci mai stati e che, magari, ci sono stati narrati. La narrazione del Novecento, oltre i libri, si è arricchita delle arti visive: fotografia, cinema e televisione. Io Philadelphia la conoscevo per i formaggio e per la scalinata di Rocky. Immancabile, a Philadelphia c’è la statua di Rocky proprio affianco alla scalinata che si vede nel film. Siamo al Museo d’Arte e diligentemente in fila ci sono le persone che aspettano di farsi un seflie affianco alla statua di una persona che non esiste, se non nel nostro immaginario.

 Troppi giovani obesi

Abbiamo spesso sentito che uno dei problemi di salute più accentuati negli Stati Uniti è l’alimentazione. Personalmente, ho fatto molta fatica a mangiare meno “junk food” possibile ma è un’impresa difficile. Così ho potuto constatare come sia consistente la percentuale di giovani obesi che si vedono per strada. Dunque, questo stereotipo mi è stato confermato dalla realtà.

 Simbolismo involontari, dal campanile al grattacielo

I campanili delle chiese, soprattutto quelle gotiche, sono alte e a punta, per elevarsi verso il Cielo. Ma il tempo ha cambiato molte cose e nelle city d’America ben altri edifici si sono innalzati verso il cielo. Il Dio del dollaro sovrasta ormai il Dio della fede (forse).

Arredi urbani ed assenza di vandalismo

In ogni città che ho visitato, almeno nelle zone centrali attraversate da noi turisti, ho visto una cura puntuale degli spazi e degli arredi. Tutto in ordine, tutto pulito e  – soprattutto –  nessun vandalismo. Non so la ragione di questo risultato, ma qualcosa mi fa sospettare che ciò è possibile innanzitutto perché le persone non rompono, sporcano, sottraggono. E qui torniamo alla tara di civiltà a cui accennavo nel primo post della serie.

 Marciapiedi grandi

I telefilm americani che giungevano sui nostri televisori, oltre alle immagini delle enormi auto che scorazzavano per le avenue, ci mostravano anche dei marciapiedi grandi, Li ho ritrovati e ne ho assaporato la confortevolezza. Un segno evidente che i modi americano  – anche quelli urbani –  sono cresciuti avendo molto spazio. Un’apparente contraddizione se pensiamo ai centri zeppi di grattacieli che, invece, sfruttano al massimo il minor suolo possibile. Queste ed altre apparenti contraddizioni dagli States.

 

Infermieri in divisa per strada e in metro

Questa faccenda mi è piaciuta meno. In tutte e tre le città che ho visitato (Boston, New York e Philadelphia) gli infermieri giravano per strada, andavano in metro (quindi si sedevano) portando la divisa di lavoro. L’ho trovato antigienico e un segno di scarsa attenzione verso gli ammalati. Magari, però, esagero.

Commercio vs monumento e i caso del Rockfeller center

“Andiamo a vedere il Rockfeller Center”. Ah si, quello che si vede la statua dietro la pista di pattinaggio nei telefilm. Questo è lo spettacolo che mi è apparso arrivato lì. Io capisco che il commercio predilige i posti più belli per poter attirare i clienti, ma è come se a Roma avessero messo ombrelloni enormi e tavolini intorno alla fontana della barcaccia del Bernini, a piazza di Spagna. A volte qualcuno si fa prendere la mano, anche a New York.

Le fontane e la necessità di far giocare i bambini

I bambini sono molto considerati. Ho accennato in un post precedente all’abbondanza di giochi lasciati a loro disposizione nei parchi. Un altro elemento caratteristico sono le “fontane praticabili”. Queste sono al livello del selciato ed è consentito ai bambini di scorazzare a piacimento tra i getti (nessun adulto prova ad entrarci). Addirittura, nella foto c’è una sorta di laghetto-fontana nel parco al centro di Boston in cui sono stati piazzati addirittura del bagnini che controllano che nessuno faccia cose pericolose.

Homeless e poveri

I poveri sono poveri. Sono uguali dappertutto. La nostra società occidentale ha dei criteri di “centrifugazione dei deboli” che variano e la casa è uno dei campi che rendono evidente la povertà. Nelle città che ho visitato non sono mancati gli homeless, ma soprattutto a Philadelphia dove erano numerosi anche nella parte turistica, la old town.

Riconversioni urbane

A New York sono riusciti a far diventare un’attrazione turistica un piccolo tratto della sopraelevata su cui correva la metropolitana. Vicina alla City, la High Line è stretta ma superaffollata, non c’è nulla di particolare: né una vista particolarmente bella, né un caffè, né attrazioni particolari. E’ affollata solamente perché si cammina su un manufatto urbano riconvertito. E’ modernariato ed è uno di quei luoghi particolari che puoi affermare con orgoglio, al ritorno, di aver visto.

La sacralità del pedone

Questo, e non altri, è l’aspetto più importante che ho riportato indietro nel mio viaggio negli Stati Uniti. In ognuna delle tre città visitate, in ogni luogo e quartiere, appena accennavi ad avvicinarti alle strisce pedonali, le auto si fermavano, ben lontane dalle strisce. All’inizio mi sono goduto la meraviglia di questo comportamento rispettoso. Alla fine mi sembrava così naturale che guardavo solo distrattamente, ogni volta che attraversavo la strada, se le auto fossero ferme. Beh, è stato un insegnamento ed ora, tornato in quel frullatore di traffico che è Roma, mi accorgo che quando guido faccio molta più attenzione di prima ai pedoni. E’ proprio vero che l’esempio vale mille spiegazioni.

Note finali in ordine sparso

Per concludere questi appuntamenti con le mie finestre sull’America, delle piccole note. Nella mia idea di America, quella mutuata un po’ anche dai telefilm alla Happy Days, come elemento caratteristico c’era il bowling. Non ne ho visti.

Il senso di calma che ho percepito nel traffico di Boston e Philadelphia probabilmente dipendeva dal ritmo lento del traffico.

La vendita al dettaglio di generi alimentari è sfilacciata. Tanti negozi che vendono un po’ di tutto ma niente di esaustivo (giusto qualche mercato) e con notevoli confusioni merceologiche (si vende insalata dove si vendono i farmaci). Rarissimi i posti dove acquistare pane fresco.

Treni e metro non hanno i vagoni imbrattati dai tags dei writer.

A New York ho notato più coppie omosessuali che si scambiavano effusioni in pubblico che coppie etero. Come ancora, nella Grande Mela ho percepito forte l’eterogeneità etnica degli abitanti. Sembravano esserci tutti, ma proprio tutti.

Con questo post si chiude il mio taccuino di appunti. Se vi è piaciuto, gratificatemi col vostro like.

 

 

 

TURISTI VS. VIAGGIATORI

Nel numero del 15 dicembre 2017 de L’Internazionale ho notato un articolo molto interessante dal titolo “Il dilemma del turista” a firma di Stephan Sanders. Dal momento che mi diletto in articoli sulla psicologia del viaggio, mi è sembrato imprescindibile leggerlo. Inevitabilmente sono nate molte riflessioni che condividerò con voi.

Inizialmente mi sono chiesto cosa differenzia un viaggiatore da un turista? Sicuramente la motivazione, ovvero la ragione per cui le persone si spostano da casa propria, dalla propria città o paese. Penso che il viaggiatore abbia un qualcosa da fare in un altro luogo e che, quindi, affronti lo spostamento come prezzo inevitabile. Ciò non toglie che, lungo il percorso, egli non possa approfittare di quanto possa incontrare: da vedere, da ascoltare, da assaggiare e, ovviamente, da disprezzare. Il turista, invece, ha come prima motivazione la ricerca dello stupore, intesa come deliberato inseguimento di ciò che ci procura meraviglia, che ci sorprende, che ci risulta nuovo. Tutto ciò che, insomma, riesce a modificare la nostra attenzione procurandoci emozioni. È facile intuire che queste due motivazioni generino due comportamenti differenti, anche se negli ultimi decenni la differenza si è molto attenuata.

In realtà storicamente il Viaggio è lentamente diventato una sorta di  prototurismo. Se nell’Ottocento i ricchi e i nobili viaggiavano (faticosamente, visti i mezzi di trasporto dell’epoca) nel secondo dopoguerra, col crescere dei redditi delle famiglie in virtù del lungo periodo di pace, è cresciuto quel senso di diritto alla felicità che rappresentano le vacanze. E se i nostri genitori vedevano il trasferimento verso le case al mare o in montagna come il meritato viaggio annuale, i loro figli  – noi –  siamo cresciuti col mito del viaggio come affermazione di indipendenza e, dato che eravamo assolutamente squattrinati per poterlo fare come i ricchi borghesi, inventammo l’autostop.

Cosa ci spingeva ad affrontare i disagi e i rischi del viaggio in autostop o con la famosa carta Interrail? Sicuramente la voglia di conoscere luoghi e genti nuove (meraviglia), ma anche il desiderio di rompere la routine. Sfuggire alle azioni abituali, alle incombenze quotidiane e sperimentare quel senso di libertà che dà il viaggiare. Tutte queste sono motivazioni da viaggiatore.

Esiste, però, il comportamento omologante – figlio dell’invidia – di quelli che pensano: “se lui è stato bene nel viaggiare, lo voglio fare anche io. Lo posso fare anche io”. Questo tipo di motivazione ha un implicito corollario, ovvero che si deve mostrare agli altri la prova della propria capacità turistica. Ecco che la tecnologia viene in soccorso e, se un tempo bastavano le cartoline spedite dai luoghi visitati (i più tecnologici ci rifilavano le raccapriccianti serate di proiezione delle diapositive), oggi la connessione globale ci fa sentire obbligati al selfie-testimone che ci permette di dire “guardami, sono qui. Non provi un pizzico di invidia?”.

La propagazione di questo comportamento, quasi come una pandemia, ha generato il “turista di massa” che già nel 1958 Hans Magnus Enzenberger aveva teorizzato nel saggio Una teoria del turismo. Questo tipo di turismo è quello che devasta le città d’arte e che le trasforma in banali Luna Park. Questo tipo di turista è quello che guarda sfuggevolmente ciò che gli si para davanti. È quello che si accontenta di vedere i monumenti a bordo di un bus scoperto in movimento. È quello che, pur di poter andare nei posti (viaggiare è una parola grossa) mangia il panino portato da casa, lasciando tonnellate di rifiuti.

Esiste, però, un macroscopico effetto collaterale al turismo di massa, come nota anche Stephen Sanders nell’articolo: “Noi turisti portiamo soldi nei luoghi dove andiamo e, soprattutto, ce ne torniamo a casa in un asso di tempo ragionevole. Forse a livello individuale, ma a livello collettivo siamo diventati una forza di occupazione che nelle grandi città europee non si limita ai periodi di vacanza (…) Ci sono i cittadini che vedono quello che una volta era il “loro centro”, la loro piazza o agorà, ormai sotto il controllo di un gruppo di estranei di passaggio che non si affeziona e non stabilisce alcun legame, ma vive nella prospettiva del viaggio di ritorno“. Infatti, stanno cominciando i movimenti di protesta contro i turisti, italiani e stranieri perché, non solo sporcano e rumoreggiano, ma tornano. Se hanno apprezzato un luogo cercano di tornarci ancora, fino a prendere il posto degli abitanti locali. Per esempio, Londra è la quinta città “italiana”. Ma accade anche il contrario. I turisti facoltosi si innamorano di un quartiere come Trastevere o di un casale in Toscana o sul lago di Como ed ecco che, approfittando della crisi, i nuovi proprietari allungano l’elenco dei cittadini “due settimane all’anno”. Io penso che un viaggiatore non cerca di appropriarsi di un luogo transitandolo o comprandolo, ma vivendolo come un proprio arricchimento attraverso le vite e le opere altrui.

Forse è questa la differenza tra il viaggiatore e il turista.

LA STRANA MALTA

Appena sotto la Sicilia, Malta galleggia nel Mediterraneo e, assieme a Lampedusa e Pantelleria, è una sorta di guado naturale tra l’Africa e l’Italia. Come tale è stata vissuta da tutte le popolazioni che vi sono approdate nel corso dei secoli. Più modestamente, vi sono arrivato anche io con l’ambizione di godermi una piccola vacanza e con la curiosità di scoprire un nuovo luogo, nuova gente, nuovi costumi.

La prima impressione del paese che ti accoglie, quando si viaggia in aereo, viene data dal tragitto dall’aeroporto al proprio hotel (o alla casa). Nel mio caso un tassista maltese mi ha shakerato per bene con la sua guida a scatti. Sono riuscito, comunque a guardare lo scorrere delle case e subito è balzata alla mia attenzione la pietra di Malta: una pietra di un giallo-ocra uniforme. Gran parte delle costruzioni hanno questa pietra a vista e l’uniformità del colore mi ha fatto imprimere un’impressione di monotonia del paesaggio urbano. Ma la dinamica edilizia non si è fermata a questa impressione. Ne parlerò più avanti.

Sono sceso nella zona del turismo massiccio, ovvero Sliema. Un lungomare con decine e decine di persone che corrono sui marciapiedi. La sera, con l’affollamento dello struscio, questi runners impongono un’impegnativa attività di reciproco evitamento. Francamente, tutta quella gente che corre mi ha dato un senso di fastidio perché non mi consentiva di rilassarmi durante la passeggiata. Mi sono chiesto se questi forzati della corsa coatta siano in grado di godersi la vita. Ognuno trova le proprie soddisfazioni, però diffido di coloro che non hanno percezione degli altri intorno a sé.

_MG_0013Tornando all’enfasi edilizia dei maltesi, è caratteristica la presenza costante, su qualunque vista panoramica dei vari luoghi, la presenza delle gru. A tratti pare di rivedere lo skyline de L’Aquila della ricostruzione post-terremoto. _MG_0015A differenza delle costruzioni in pietra gialla, però, il cemento armato incalza al punto che in certi punti l’edificio in stile tradizionale diventa l’eccezione. Questa spinta edilizia aggressiva fa ricordare le spregiudicate operazioni immobiliari dei palazzinari italiani, che hanno mangiato territorio per decenni, senza particolari cure estetiche. Malta sembra preda della stessa frenesia. D’altra parte, la piccola repubblica è da poco entrata nell’Unione Europea e ha aderito anche alla moneta unica. La crescita economica viaggia a cifre sostenute ed una prova indiretta di questa circolazione di danaro l’ho intuita nella spropositata quantità di ristoranti italiani o sedicenti tali. Una presenza simile l’avevo notata a Praga ed anche allora il sospetto che dietro questa invasione di aziende italiane dedite alla ristorazione potesse annidarsi la probabilità di lavanderie di danaro della malavita organizzata è sempre stato forte.

La sensazione della Storia, però, è forte. Soprattutto nella sua dimensione militare. Essendo una specie di nave alla fonda tra le varie sponde del Mediterraneo, Malta è sempre stata oggetto dell’occupazione di altre genti, dai Fenici agli Inglesi. Girando per la capitale, Valletta, è forte la connotazione fortilizia lasciata dai Cavalieri di Malta che erano, sì dei religiosi dediti alle attività di salute e ospedalizzazione, ma sono stati anche guerrieri capaci di difendere e resistere ad attacchi. Anche se, alla fine, una rivolta dei maltesi terminò l’esperienza dei Cavalieri, molta Storia è rimasta legata a loro ed oggi questi elementi monumentali sono parte dell’offerta turistica dell’Isola. Come è anche diventata oggetto di promozione turistica la pagina recente di Storia legata alla resistenza (ancora una volta!) degli Inglesi nell’ultima guerra mondiale. Malta è stata una base strategica degli Alleati nel Malta-2Mediterraneo ed ha resistito per lungo tempo senza essere mai conquistata , ma oggetto dei bombardamenti martellanti delle forze aeree tedesche e italiane.

Gli italiani, appunto. La terra più vicina a Malta è la Sicilia. Essa fa parte geologicamente proprio della piattaforma siciliana. Entrambe hanno conosciuto dominazioni comuni, come normanni, angioini e arabi. Queste, sommate all’italiano e l’inglese, hanno generato una lingua che è la somma di tutte quante. Quando siamo all’estero ci può capitare di ascoltare i toni e i modi linguistici del popolo che ci ospita e, con un po’ di sensibilità, possiamo riconoscerne le pronunce. Il maltese mi ha dato l’impressione di un collage di espressione e linguaggi. Naturalmente, molte parole sono italiane. Proprio per questi aspetti storico-linguistici, Malta è il paradiso degli italiani che vogliono viaggiare senza sapere l’inglese: quasi tutti  capiscono l’italiano, e due/terzi lo parlano.

La presenza inglese nell’isola è stata lunga ed ha intriso tutta la cultura maltese. La guida a sinistra sulle strade ne è l’aspetto più immediato. Ma si riconosce questa impostazione culturale anche nell’organizzazione sociale e istituzionale che mi ha dato l’impressione di fare dei maltesi il risultato spurio della britannizzazione di un’indole mediterranea.

Ancora due notazioni da turista. La prima è che, rispetto ad altre due nazioni mediterranee e vocate al turismo, L’Italia e la Grecia, Malta sia più cara. Forse perché, come in tutte le isole, è costoso far arrivare le merci. WP_20160703_003L’altra riguarda il mare. E’ splendido e le coste soprattutto di rocce contribuiscono a tenerlo pulito. Sono stato nell’isola di Comino alla scoperta della famosa Laguna Blu. La sfortuna ha voluto che ci arrivassi di domenica, con un affollamento pari alla riviera romagnola che, sicuramente, faceva perdere molto del fascino di quel pezzo di Mediterraneo, anche se molto contribuisce al reddito dei maltesi.

L’EQUILIBRIO DI STROMBOLI

Qualche giorno fa si è conclusa una mia piccola permanenza vacanziera a Stromboli. Isola straordinaria per bellezza e rinomata tra viaggiatori e turisti. Lo spettacolo del vulcano quando è in eruzione attira schiere di turisti e di amanti della natura. Il paese riesce ad accogliere migliaia di persone nei mesi di maggiore movimento turistico e gli abitanti, sommandosi ai circa 530 residenti. La pesca è diventata un’attività secondaria – anche perché a Stromboli non c’è un porto vero e proprio – ed è prevalentemente finalizzata al rifornimento dei ristoranti dell’isola. Il turismo, dunque, è la prima fonte di ricchezza.
Particolarità del paese di Stromboli è che le stradine non sono abbastanza larghe per consentire il passaggio delle auto. Non solo. La piccola centrale elettrica dell’isola fornisce energia alle case ed agli esercizi commerciali, ma non si è mai provveduto all’illuminazione pubblica: così, di notte, le strade sono buie, soprattutto quando chiudono anche bar e ristoranti e si spengono le loro insegne. Infine – per completare la descrizione – Stromboli è una frazione del comune di Lipari, paese che sta su un’altra isola ad alcune miglia di distanza e, quindi, viene gestito da lontano.
Proprio su questo ultimo aspetto nasce la mia riflessione di psicologia del viaggio. Già perché nel mio soggiorno ho notato come alcuni aspetti della vita strombolana risultassero “aggressivi” nei confronti del visitatore, turista o viaggiatore che fosse. Vero che non ci sono auto e mezzi pesanti (se non confinati ad un’unica strada costiera lunga un paio di chilometri), ma è intenso il movimento di motorini, scooter e veicoli a tre ruote col motore a scoppio. Questi generano un “traffico” continuo e rumoroso: ma soprattutto lasciano al loro passaggio il puzzo dei gas di scarico. Fortunatamente si cominciano a vedere piccole auto (quelle da campo da golf) e scooter elettrici.
Un altro aspetto che ho trovato “fuori posto” è stata la quantità di bottiglie abbandonate che rimandavano un’immagine di “sporco” e di “incuria”. Appariva strano che un paese che vive di turismo lasciasse sporcare le proprie strade in questo modo. Poi, facendo bene attenzione, ho notato che per le strade di Stromboli non ci sono cestini in cui gettare i rifiuti. Un’eclatante contraddizione! Si attirano decine di migliaia di turisti ogni stagione, si vendono tonnellate di merci destinate al ristoro e non si arredano le strade con dei cestini? Perché questa contraddizione?
Forse perché in tutti i luoghi popolati dagli esseri umani, luoghi in cui noi ci aggreghiamo in villaggi, paesi o città, esiste una sorta di equilibrio dinamico tra la necessità di godersi la vita secondo i propri istinti e la necessità di modificarli per le pratiche di vita e sopravvivenza, ovvero tra principio del piacere e principio di realtà. Per il paese di Stromboli, il principio del piacere equivale a potersi muovere liberamente e velocemente per il paese col minimo della fatica (ecco motocicli e traffico), ma si manifesta anche nel fastidio di doversi preoccupare dell’immondizia prodotta dai turisti. D’altro canto, il principio di realtà impone il problema del decoro che influisce sull’idea che si fanno i visitatori del paese, del “loro piacere” di essere a Stromboli, del modo in cui parleranno del luogo, costruendo la desiderabilità attraverso il passaparola.
Nel caso di Stromboli e degli strombolani, si ha l’impressione che l’equilibrio tra principio del piacere e principio di realtà penda ancora leggermente verso il primo.

Isola di Stromboli