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LO STUPRO ATAVICO

Nelle scorse settimane ho letto un libretto che mi ha dato spunto per molte riflessioni. Si tratta del testo “Donne nelle mani del nemico” di Alberto Redaelli. Ancor più esplicito il sottotitolo, ovvero “storia dello stupro di guerra dai tempi antichi ad oggi”. Il mio interesse rientra nella voglia di capire realmente le ragioni dei tanti omicidi di donne di cui la cronaca mediatica è piena. Quindi mi sono chiesto cosa accadeva in passato. Questo libro ha dato alcune risposte. Ecco le indicazioni secondo il rigoroso ordine con cui mi sono apparse scorrendo nella lettura.

Cominciamo dal fatto che gli uomini di tutti i popoli, in qualunque epoca, hanno stuprato le donne in guerra. Ciò accade ancora oggi.

Si hanno testimonianze di stupri seguenti alle guerre dal tempo dell’Egitto dei faraoni e degli assiri. Inevitabile pensare che lo stupro di guerra fosse già perpetrato prima o  – addirittura –  che sia stato sempre praticato ma mai considerato degno di lasciare traccia per i posteri. Le donne, a pari di bambini, bestiame e oggetti di valore, venivano considerate “bottino“. Gli uomini  – raramente –  erano ridotti in schiavitù ma, più frequentemente, semplicemente uccisi perché pericolosi. Di conseguenza, le donne, in quanto più sfruttabili, avevano più probabilità di sopravvivere ad una sconfitta. Tra i possibili destini delle donne “conquistate” in guerra, l’avviamento alla prostituzione era una prassi diffusa, perché esse erano considerate come un bene da far fruttare.

Un altro aspetto che emerge da questa ricerca storica sullo stupro di guerra è che può essere usato con una valenza simbolica: quando viene inflitto a sfregio, per sottoporre all’umiliazione. Un atto di disprezzo tanto verso gli uomini quanto verso le donne stesse. Innumerevoli sono i casi riportati di uomini (mariti/parenti) costretti ad assistere alla violenza sessuale perpetrata a mogli, madri e figlie. Per questo, da un lato gli uomini preferivano morire combattendo piuttosto che subire un simile spettacolo, dall’altro si intuisce la genesi del famoso adagio lanciato in caso di pericolo “Prima donne e bambini!”.

Un altro aspetto da rimarcare è che lo stupro (come la violenza in genere) era molto spesso considerato una ricompensa per chi aveva combattuto rischiando la vita, al punto che lo stupro era considerato anche una sorta di “diritto di guerra”. Inoltre, vi sono documenti in cui si fa riferimento che la capacità di stuprare (o fare violenza) era considerato un segno di valore nei capi.

Nel Novecento non vengono fatte eccezioni e i generali americani alle prese di questo fenomeno, temendo la pressione dei mass media del loro paese, trovarono la soluzione semplicemente nell’applicare la censura.

Ma lo stupro di guerra, nel corso dei secoli, ha sempre più assunto connotazioni negative. Il primo tentativo di limitare e punire questa pratica è del 1385 ad opera di Riccardo II d’Inghilterra nel corso di una guerra contro la Scozia. Ma bisogna arrivare al 1863 per avere documentate le prime condanne per gli stupri di guerra. Nel 1949 (ONU) viene scritta la prima norma internazionale di condanna dello stupro di guerra, ma questa norma non è mai stata un vero deterrente.

Proverò, in un prossimo articolo a fare delle considerazioni più approfondite, anche provando a capire quanto le motivazioni descritte per gli stupri di guerra possano essere rintracciabili negli stupri al di fuori delle guerre. Sempre nel tentativo di capire.

AMERICAN SNIPER

Quando esce un film con la regìa di Clint Eastwood è come il bollino blu della Chiquita: dovrebbe essere il bollino di garanzia. Non ho visto tutta la filmografia di Estwood, ma è evidente che è molto sensibile al filone della guerra. Una guerra vista dal lato delle persone e non come conflitto delle società. American Sniper è tratto dal libro autobiografico di Chris Kyle, un militare del corpo dei Navy Seals che è stato il miglior cecchino americano di tutti i tempi e, perciò, definito dai suoi commilitoni “The Legend”.
Il pericolo maggiore quando si racconta la storia di un militare americano è quello di cadere nello stereotipo classico del “americano che è forte anche quando perde”. Chris Kyle è stato ucciso da un americano, un reduce della stessa guerra che lui aveva combattuto: nella sua vita tutto si conclude con la chiusura del cerchio, con la nemesi. Una storia, dunque, che è un cimento difficile anche per Clint Eastwood. Beh, il grande Clint, a mio parere, non c’è riuscito. Il finale del film trasuda della famigerata Stars&Stripes Philosophy. Girato senza una sbatavura, con effetti speciali usati con sobrietà, rimane debole nella storia. L’unico palpito morale che si riesce a vivere è nelle due scene in cui vengono coinvolti dei bambini iracheni. Un po’ poco. Ancora una volta la visione del mondo che è generata dal pensiero stereotipato ha vinto, con buona pace di Clint.

ClintEastwood set american sniper

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Kyle-autobiografia